Le parole della scuola. La riflessione sul futuro della nostra scuola riguarda tutti noi

Durante l’estate le parole raccolte potrebbero suggerire spunti di riflessione e aiutare a spalancare la porta del cambiamento.

Le parole della scuola. La riflessione sul futuro della nostra scuola riguarda tutti noi

Prima del suono della campanella “definitiva”, che segnerà l’inizio delle vacanze, abbiamo ancora una manciata di giorni a disposizione per fare qualche riflessione sullo stato di salute del sistema di istruzione del nostro Paese e per annotare qualche parola “chiave” sulle nostre agende. Durante l’estate le parole raccolte potrebbero suggerire spunti di riflessione e aiutare a spalancare la porta del cambiamento. La riflessione sul futuro della nostra scuola riguarda tutti noi, anche chi ormai non la frequenta più da anni.

La scuola è quel posto dove i nostri bambini entrano con uno zaino che è più grande di loro, con un sorriso inconsapevole stampato sulle labbra e la testa piena di sogni. Ne escono che hanno le gambe lunghe e nei banchi non ci stanno più, i sorrisi sui loro volti si diradano col trascorrere degli anni e i sogni… Chissà! Di certo negli zaini si fa spazio pian piano il fardello dell’inquietudine, che di per sé non sarebbe una “cattiva compagnia”. Tutt’altro: l’inquietudine muove domande, solleva dubbi, sposta confini… Ma, quando non trova risposte adeguate, corre il rischio di trasformarsi in senso di sfiducia e irreversibile rinuncia.

Pensando ai recenti fatti di cronaca la parola più urgente da tenere a mente è: DISAGIO. Pare che questo sia stato un anno record in termini di violenze fisiche e verbali subite dai docenti da parte degli studenti. Quando le derive del disagio travalicano i confini dell’“ordinario” finiscono sui giornali. Si levano gli scudi, si inaspriscono le contrapposizioni tra docenti, studenti e famiglie, ma ci si interroga realmente sulle cause? Si approfondisce lo stato di salute del dialogo educativo?

Nel terzo millennio e nell’era digitale la scuola fondata sui “ruoli” non funziona più. Il modello esige un cambiamento: provvedimenti disciplinari e denunce non scioglieranno i nodi. Non dimentichiamo, inoltre, che il disagio a volte prende le forme silenti della rabbia interiore, dell’autolesionismo, del ritiro sociale, dei disturbi dell’alimentazione o del bullismo fra pari.

Il 2023 è stato anche l’anno del MERITO, e già che ci siamo in rubrica alla lettera M sarebbe da annotare anche un’altra parola: MOTIVAZIONE. Merito e motivazione vanno a braccetto, non esistono l’uno senza l’altra. Come si può sollecitare l’eccellenza, senza alimentare adeguatamente la motivazione?

I fondi del PNRR non basteranno a demolire la montagna della sfiducia e del disincanto, che cresce in maniera esponenziale nel cuore della nostra società. Per essere credibile il “merito” dovrebbe trovare riscontro nella realtà e non soltanto nel circuito numerico della VALUTAZIONE disciplinare. Domandiamoci: qual è la forza del “merito” al di là dei confini del cortile scolastico?

Già che ci siamo, alla lettera M, non dimentichiamo di annotare il nome di chi, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, seppe immaginare una scuola “diversa”, dove a fare da anello di congiunzione tra merito e motivazione era la solidarietà tra pari e l’attitudine a “valorizzare” i fallimenti: don Lorenzo Milani, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita.

Alla scuola di Barbiana si combatteva in maniera empirica la POVERTÀ EDUCATIVA, l’ANSIA da prestazione, la PAURA DEL FUTURO attraverso l’APPRENDIMENTO SOCIOEMOTIVO e ORIENTATIVO: naturalmente prima che tali metodologie si chiamassero in questo modo e divenissero oggetto di studi scientifici. Soprattutto si pescava a piene mani nelle sacche dell’abbandono e della DISPERSIONE SCOLASTICA.

A proposito, su questo fronte a che punto siamo? Non bene. La fotografia più recente (Eurostat 2021) ci dice che in Italia il 12,7% dei giovani tra i 18 e i 24 anni sono fermi alla licenza media, un dato che stona con la media europea (9,7%).

Tra le parole chiave, infine ma non “in ultimo”, non può mancare il termine DOCENTE. Malala Yousafzai, premio Nobel per la pace nel 2014, ci ricorda che per “cambiare il mondo”, non bastano una penna, un libro e un bambino: l’insegnante fa da perno. Insegnare: un mestiere che oggi richiede coraggio, umiltà e una gran forza di carattere.

Forse alla nostra agenda dobbiamo aggiungere ancora qualche parola, ma in attesa dell’inizio degli esami di maturità non mancherà l’ispirazione…

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Fonte: Sir