Nota Politica. I partiti: identità e ruolo

E' ineludibile ricostruire le condizioni per una partecipazione politica autentica, che non sia la sommatoria di paure ancestrali e di rivendicazioni corporative.

Nota Politica. I partiti: identità e ruolo

Nelle analisi sulla cronica instabilità governativa italiana c’è un fattore spesso meno considerato di altri e che invece è strettamente connesso con quella patologia politica, in parte ne è una concausa e comunque ne condiziona in modo decisivo gli effetti: sono i partiti, la loro identità, il loro ruolo. La Costituzione, all’art.49, afferma chiaramente che “tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con  metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Per la Carta fondamentale della Repubblica, dunque, i partiti sono uno strumento libero e allo stesso tempo collettivo, associativo. Sono soggetti sociali, corpi intermedi nel modo loro proprio.

Prima della nascita dei partiti popolari la politica era una questione ristretta alle élites economico-sociali. L’allargamento della base democratica e l’avvento del suffragio universale hanno trovato riscontro nel ruolo dei partiti come luoghi di aggregazione e canali attraverso cui le idee e gli interessi assumono una specifica forma politica. Questa visione è entrata in crisi quando i partiti sono diventati autoreferenziali. Non più strumenti ma fini. Il potere per il potere, non per un progetto politico. Le istituzioni in funzione dei partiti e non viceversa. La reazione alla cosiddetta “partitocrazia” a partire dagli anni Ottanta ha finito per coinvolgere i partiti in quanto tali nella condanna della degenerazione di un sistema che è deflagrato nel decennio successivo con l’esplosione di Tangentopoli. Il parallelo crollo delle ideologie del XX secolo (la data simbolica è il 1989) avrebbe potuto liberare energie fresche per ricostruire su basi nuove i meccanismi della partecipazione e invece ci si è avvitati in una deriva verticistica. I partiti sono diventati “un mix fra macchina elettorale e servizio alle leadership” (P. Pombeni). Il sogno di una democrazia diretta via internet è presto svanito lasciando spazio all’incubo dell’uso spregiudicato dei social media da parte di leader sovranisti-populisti. Il problema non è solo italiano, ovviamente, e quel che si è visto negli Usa dovrebbe mettere in guardia sulle conseguenze estreme ma concretamente possibili di questo processo.

Tornando all’instabilità italiana, si potrebbe obiettare che il fenomeno della breve durata dei governi si è verificato anche nella prima fase della Repubblica. Del resto il nostro assetto istituzionale non prevede un esecutivo rafforzato. Il Paese usciva dalla tragedia della guerra e del fascismo e i costituenti hanno avuto la comprensibile preoccupazione di scongiurare il rischio di torsioni autoritarie dell’ordinamento. Ma la presenza di partiti solidi, organizzati, profondamente radicati nella società e nelle sue articolazioni, unitamente a un forte vincolo internazionale, ha conferito al sistema una stabilità di fondo che ha reso possibile, per esempio, una progettazione politica lungimirante e di ampio respiro pur nel mutare dei governi. Oggi il vincolo internazionale ci sarebbe pure – il rapporto con l’Europa è fondamentale e non facoltativo – manca invece quasi del tutto l’ancoraggio a partiti capaci di interpretare in termini rinnovati l’ispirazione costituzionale. Ricostruire le condizioni per una partecipazione politica autentica, che non sia la sommatoria di paure ancestrali e di rivendicazioni corporative, è un’impresa ardua ma ineludibile. E non può essere calata dall’alto, ma deve necessariamente partire dal basso.

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Fonte: Sir