Più cibo per tutti, la sfida è questa. Anche l’agricoltura italiana deve produrre più, sia in termini alimentari che energetici

Campi e stalle nostrani potrebbero, più di quello che già fanno, contribuire a rimpinguare le scorte di energia del Paese.

Più cibo per tutti, la sfida è questa. Anche l’agricoltura italiana deve produrre più, sia in termini alimentari che energetici

Più terra da coltivare per produrre più cibo per tutti. Soprattutto per chi, oggi, fatica ad arrivare alla fine del mese. E magari per produrre più energia in modo compatibile con l’ambiente. Orizzonte complesso da raggiungere, seppur possibile. E quasi necessario visto i tempi che l’economia sta attraversando.

La sfida – perché di sfida si tratta -, è stata lanciata in questi giorni da Coldiretti nel corso del XX Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione. “Gli agricoltori italiani – è stato affermato -, sono oggi pronti a coltivare un milione di ettari in più per garantire la sovranità alimentare del Paese, ridurre la dipendenza dall’estero e rassicurare quel 51% di cittadini che ha paura che il cibo non arrivi più sulle tavole a causa degli sconvolgimenti globali legati alla guerra”. Tutto parte da una constatazione: nonostante i grandi successi del buon agroalimentare italiano nel mondo, la nostra capacità di produrre cibo non basta a sfamare tutti. Non si tratta certo di qualcosa di nuovo, anzi. Stando alle rilevazioni dei coltivatori, negli ultimi cinquant’anni è scomparso “un campo agricolo su tre”. Un vero crollo della capacità produttiva che ha aumentato drasticamente gli arrivi di prodotti alimentari dall’estero. Una condizione che vale anche oggi: nei primi otto mesi di quest’anno le importazioni sono cresciute del 30%. Colpa un po’ di tutto. Delle scelte compiute in passato, ma anche della congiuntura internazionale che soffre sotto gli effetti della guerra. L’agricoltura, è stato sottolineato ancora nel corso dei giorni di dibattiti organizzati dai coltivatori, ha grandi potenzialità che le tecniche a disposizione potrebbero sviluppare, ma necessita di grandi investimenti (e quindi di sostegni importanti).

Misure che valgono non solo per il risvolto alimentare ma anche per quello energetico. Campi e stalle nostrani, infatti, potrebbero, più di quello che già fanno, contribuire a rimpinguare le scorte di energia del Paese. Anche in questo caso è questione di costi e quindi di convenienza. Ma i tecnici stanno facendo passi da gigante. Nel corso del XX Forum, per far capire meglio dove si può arrivare, è stata addirittura presentata la prima stazione di rifornimento di gas per auto prodotto da stalle. Si tratta di un distributore di biogas realizzato nell’azienda agricola Bosco Gerolo, a Rivergaro, in provincia di Piacenza. I liquami e il letame prodotti dall’allevamento bovino vengono mescolati ai residui della lavorazione dei cereali per l’alimentazione degli animali, dalla paglia agli stocchi di mais, e messi a fermentare. Il gas prodotto viene quindi trasferito in un impianto di upgrading dove viene completamente purificato e stoccato in grandi bombole che alimentano il distributore, capace di fare il pieno a 100 macchine al giorno mentre gli scarti vengono usati per concimare i terreni. Esempio da prendere ovviamente con grande cautela e attenzione. Ma pur sempre esempio che dice molto. Della possibilità di creare “comunità energetiche” tra agricoltori e utilizzatori di energia “pulita”, si parla comunque da tempo.

In ogni caso, occorre fare presto e bene. Lo si capisce meglio se accanto alla bassa capacità agroalimentare nazionale si pongono gli effetti sul consumo proprio degli avvenimenti degli ultimi mesi. “A causa del caro prezzi – è emerso da una indagine del Censis discussa sempre nella due giorni Coldiretti -,  più di un italiano su due (52%) ha tagliato il cibo a tavola in quantità o in qualità, con un effetto dirompente che grava soprattutto sulle famiglie a basso reddito”. Indicazione da capire bene anche questa. E che vale quindi la pena di approfondire. A pagare lo scotto della crisi, per esempio, sono stati i più poveri. Dice ancora il Censis che il 47% degli italiani è stato costretto a tagliare le quantità di cibo acquistato, ma se si considera la fascia di popolazione a basso reddito, la percentuale sale addirittura al 60%, mentre per i redditi alti si scende al 24%. E’ quello che i tecnici chiamano food social gap. Gli adulti e i giovani tagliano molto più degli anziani, e i bassi redditi più che i benestanti. Produrre più cibo, quindi è un imperativo. Tenendo anche conto che oltre sei italiani su dieci tra coloro che tagliano gli acquisti sono convinti che questa situazione durerà almeno per tutto il 2023.

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Fonte: Sir