Povertà reale e povertà percepita. Il signor Caproespiatorio

La percezione molto più alta rispetto alla realtà della riduzione delle nostre possibilità economiche, ci porta a trovare un capro espiatorio.

Povertà reale e povertà percepita. Il signor Caproespiatorio

Il signor Malaussène di professione capro espiatorio è il protagonista di una fortunata serie di romanzi dello scrittore francese Daniel Pennac. Quando qualcosa va male e bisogna trovare una causa, eccolo lì: lui appare per essere accusato.
C’è un clima sociale di incertezza che proiettiamo sul nostro futuro, il disagio è diffuso un po’ in tutta Europa. Una serie di eventi ha indebolito le istituzioni sociali a cui ci affidavamo – dallo stato sociale alla politica, dai sindacati alla chiesa –, ha corroso il sistema economico che rassicurava la nostra vita privata dalla precarietà lavorativa alla riduzione delle possibilità di consumo.

Quanta distanza c’è tra la percezione e la realtà?
I recenti dati Eurostat mostrano, in effetti, che il rischio di cadere in condizione di povertà relativa è aumentato negli ultimi anni. Uno studio di due economisti Maurizio Baldini e Francesco Daveri, pubblicato su lavoce.info, indica che tra il 2005 e il 2017 la percentuale di persone a rischio di povertà relativa è cresciuta in vari paesi europei, soprattutto in quelli dell’area del Mediterraneo.

Però, se si approfondisce l’analisi, si scopre che ci sono differenze tra i cittadini del paese e i cittadini stranieri. L’aumento colpisce soprattutto gli immigrati. In Italia ad esempio il rischio di povertà è del 18,1% (era circa al 15% nel 2005) tra gli italiani, del 28,6% tra i cittadini comunitari e del 40,6% per gli extracomunitari.

La percezione molto più alta rispetto alla realtà della riduzione delle nostre possibilità economiche, ci porta a trovare un capro espiatorio. Lo indichiamo proprio negli stranieri, che – caso strano – sono anche quelli più colpiti dagli effetti dell’instabilità economica. Dato poi che sono anche i più deboli, non hanno rappresentanza politica nel paese in cui risiedono e sono il bersaglio più semplice da colpire per individuare un colpevole per il nostro disagio.

Questo è un processo sociale antico: si chiama stigmatizzazione. Uno degli studiosi moderni che lo ha approfondito è stato Eving Goffman. Per lui lo stigma era un processo che portava all’isolamento sociale determinati individui, perché non assumevano atteggiamenti e comportamenti abitudinari e consueti. L’alterità porta alla messa al bando. Goffman ragionava su singoli casi: un disabile, un malato, un immigrato, una persona di altra religione. Ma la stigmatizzazione può coinvolgere anche gruppi sociali o etnici. In questo caso si aggregano: poveri e immigrati.

Quello che appare oggi è che lo stigma è applicato su larga scala in Italia e in Europa. Ma non ci aiuterà ad uscire dalla sensazione di disagio.

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Fonte: Sir