Prendiamoci cura. Il successo formativo è una precisa responsabilità dell'intera comunità scolastica

Come ogni anno, quindi, e anche con maggiore vigore siamo chiamati a ripartire da zero: famiglie, scuole e studenti.

Prendiamoci cura. Il successo formativo è una precisa responsabilità dell'intera comunità scolastica

Con l’inizio del nuovo anno scolastico, dopo gli entusiasmi per una ripresa che solo qualche mese fa appariva quasi impossibile, arrivano anche le prime note dolenti. Sui registri elettronici, infatti, ecco comparire i primi voti e, quindi, anche le prime insufficienze.

Lo scorso anno la Didattica a distanza (DaD) non ha funzionato sempre come avrebbe dovuto. Alcuni ragazzi hanno approfittato delle falle del sistema per battere la fiacca o latitare, altri hanno avuto oggettive difficoltà e poi, in alcuni casi, pure la scuola non è riuscita a raggiungere e formare in maniera adeguata in tutte le discipline i propri studenti.

Inoltre la promozione “Urbi et Orbi” non ha affatto contribuito a sanare le lacune dei ragazzi e i corsi di recupero previsti dai PAI, come intuibile, hanno avuto una efficacia relativa: molti attivati online, altri in itinere.

Insomma, l’anno scolastico 2020-21 si presenta insidioso: i conti di quello precedente sono rimasti “in sospeso”.
La didattica nei mesi trascorsi, poi, ha accolto degli stimoli nuovi, per lo più legati all’impiego delle tecnologie. Qualche metodologia “innovativa” ha messo in evidenza le criticità di altre più datate, che oggi appaiono perfino inadeguate rispetto alle modalità di apprendimento dei nostri giovani.

Nell’era Covid-19 resta in piedi, anzi probabilmente diventa anche più urgente, l’antica questione donmilaniana del “take care” (prendersi cura) degli studenti, parafrasata nei manuali di formazione dei futuri docenti e dirigenti scolastici con l’espressione più scientifica “successo formativo dello studente”.

Il successo formativo è una precisa responsabilità di insegnanti e dirigenti, nonché dell’intera comunità scolastica. Per successo formativo non s’intende esclusivamente portare tutto il “gregge” alla sufficienza. Si tratta piuttosto di costruire attorno ai ragazzi un percorso continuo e coerente, che si incentri non soltanto sulla mera trasmissione dei saperi, ma che abbia un occhio particolare alla “formazione” dell’individuo nella sua interezza. I ragazzi sono consegnati alla scuola in una età in cui pian piano scoprono le proprie attitudini e la loro stessa natura. Hanno estremo bisogno di essere stimolati e guidati in questo percorso.

Don Milani affermava a piena voce che la scuola esiste soprattutto per gli studenti in difficoltà e deve stare attenta a non essere ”un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. I ragazzi brillanti, le eccellenze hanno diritto a una cura particolare e a essere valorizzati nello studio. I ragazzi con difficoltà, invece, necessitano di un lavoro più complesso, che ha dei risvolti sociali importantissimi.

Come ogni anno, quindi, e anche con maggiore vigore siamo chiamati a ripartire da zero: famiglie, scuole e studenti. Il primo ingrediente che dovremo impegnarci a trasmettere è la motivazione: si studia e si lavora con serietà quando si è “motivati” a farlo. Imparare non è ripetere a pappagallo la lezioncina del giorno, imparare è apprendere delle competenze, è capire quello che avviene attorno a noi, riuscire a decodificarlo.

Altro lavoro importante che la scuola deve fare è proprio “insegnare a imparare”. Attenzione a non scambiarlo per un mero gioco di parole. La scuola è spesso schiacciata dai contenuti didattici e presta poca attenzione alle metodologie di apprendimento. Questa mancanza si avverte particolarmente nella scuola secondaria, dove alcune competenze si danno per acquisite e, invece, non sempre lo sono.

I ragazzi, dal canto loro, dovranno soffermarsi un po’ di più sul valore delle parole, della lettura analitica e dell’ascolto. La civiltà dell’immagine ci impone modelli visivi e percettivi rapidi e “globali”, la scuola va in controtendenza e sollecita abilità che chiedono un impegno, un’applicazione e una riflessione di maggior durata, quindi un lavoro senz’altro più faticoso. “Leggere” non è “studiare”, la parola “studio” viene dal latino e significa “aspirare a qualche cosa, applicarsi attivamente”. Ma non solo: “studium” vuol dire anche “prendersi cura, amare”, richiama quindi alla mente quel “take care” tanto caldeggiato da don Lorenzo Milani.
Ci vuole amore per insegnare ad apprendere l’amore.

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Fonte: Sir