Quando un parroco se ne va all’improvviso... La riflessione di don Cesare Contarini

L’unico modo per ripartire è puntare su quanto qualifica davvero la vita cristiana: la liturgia, la Parola, la formazione, la carità

Quando un parroco se ne va all’improvviso... La riflessione di don Cesare Contarini

Quando un parroco se ne va in modo improvviso, cosa capita in parrocchia? Quali reazioni e conseguenze c’è da aspettarsi? Cosa dire, cosa fare? Dando per pacifico che ogni realtà è unica, mi pare che un principio si possa affermare (ed evincere da varie situazioni) con chiarezza: in queste circostanze vien fuori la qualità della comunità cristiana.

Si vede, cioè, si sperimenta se la parrocchia vive con le caratteristiche e lo stile dei cristiani o con le modalità dell’aggregazione paesana; se le attività sono (state) condotte e gestite con criteri ecclesiali o al modo di una pro loco (stimabile e utile, ma realtà diversa dalla comunità cristiana); se chi ha guidato l’ha fatto in maniera autoreferenziale, autoritaria o con spirito aperto, fraterno, coinvolgente, umile. In ogni caso, per recuperare serenità ed energia autentica, diventa inevitabile puntare su quello che qualifica la vita cristiana: la liturgia, la Parola, la formazione delle persone, l’attenzione alla carità. E più la partenza del parroco è stata traumatica, più forte è il bisogno di sentire viva e vicina la presenza del Signore.

Della mia ultima esperienza di “provvisorio referente pastorale” non posso dimenticare il percorso quaresimale sulla misericordia (era l’anno giubilare), la celebrazione delle Palme, la veglia di Pentecoste: esperienze in cui ho sentito la “grazia” che accompagnava e rasserenava il cammino, rincuorava le persone. In modo speculare, in “imprevisti” del genere emerge anche il livello di capacità e competenze della diocesi nel gestire situazioni delicate e a volte intricate, nella necessaria combinazione tra aspetti giuridici e stile pastorale, dovere della discrezione e del rispetto alle persone e necessità di un’informazione corretta e chiara, accompagnamento delle fragilità…

Un ruolo particolare spetta alla paternità del vescovo che non è semplicemente Claudio, Antonio o Girolamo, ma l’apostolo che dà garanzia alla comunità ferita, a tutte le realtà ecclesiali. Ricordo bene quanto, quattro anni fa, è stata importante la presenza del vescovo Claudio, per due volte in pochi giorni in parrocchia, al mercoledì delle Ceneri e al funerale del vecchio ex parroco: la gente comune, il “popolo di Dio”, si è sentito accompagnato, sorretto, amato.

Un aspetto necessario per risolvere situazioni intricate è la trasparenza: bisogna trovare il coraggio della verità, di dire come stanno le cose; di mostrare la realtà effettiva al di là di quanto i giornalisti ripetono e rivangano, più o meno a proposito, ogni volta che si torna sull’argomento; di (far) chiedere scusa se ci sono stati errori e poi riprendere il cammino con chiarezza.

Quando il parroco se ne va, si evidenziano subito i cento problemi della quotidianità: chi risponde al telefono e accoglie le richieste delle persone, avviare il riscaldamento per tempo, le chiavi, le bollette, malati e funerali… La canonica vuota aiuta a riflettere sull’importanza della presenza feriale del prete nella comunità, anche per tanti aspetti, pur piccoli e banali, della vita comunitaria. Questa “privazione” ha il positivo di aiutare tutti ad aprirsi al futuro, di cominciare concretamente a considerare cosa potrà succedere quando non ci sarà più il sacerdote residente e toccherà a laici sensibili e corresponsabili provvedere alle varie incombenze quotidiane.

«Speriamo che la cosa si risolva presto, iniziamo a essere stanchi di questa situazione, vogliamo tornare alla normalità» (Gazzettino di giovedì 16 gennaio). Questa è la reazione più comune – e piena di buon senso – che si sente nelle parrocchie, persino in giro per il paese, dopo un po’ che si è senza parroco. Dice la necessità, la convenienza, il gusto anche, di vivere una vita cristiana e parrocchiale “normale”, senza scossoni o sorprese antipatiche: per questo bisogna costruire comunità “normali”, fondate sulla fede e sulla preghiera, sul rispetto di chi c’era prima e di chi verrà dopo, solide nella collaborazione tra le persone. Comunità normalmente cristiane.

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