Reddito di cittadinanza, Saraceno: “Risanare il dibattito”

Presentata la relazione del Comitato scientifico per la valutazione del Rdc. Dieci le proposte. La presidente del Comitato, Saraceno: “Cauti su fantasia che ci siano tante offerte di lavoro rifiutate”. Il ministro Orlando: “Su Centri per l’impiego ci sono regioni molto indietro, non solo del Sud”

Reddito di cittadinanza, Saraceno: “Risanare il dibattito”

Non discriminare i cittadini stranieri, rendere il Reddito di cittadinanza (Rdc) a misura di famiglia, sostenere meglio i costi dell’abitare, non penalizzare chi lavora, considerare il patrimonio in modo flessibile, eliminare l’obbligo di dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro per chi è indirizzato ai servizi sociali, ridefinire i criteri di “lavoro congruo”, promuovere le assunzioni dei percettori di Rdc, rafforzare i patti per l’inclusione e superare le distorsioni nell’utilizzo del Rdc abolendo l’obbligo di spendere il contributo entro una certa scadenza. Sono queste le 10 proposte per migliorare il Reddito di cittadinanza presentate dal Comitato scientifico per la valutazione del Rdc oggi a Roma durante una conferenza stampa tenutasi al ministero del Lavoro a cui hanno partecipato il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Andrea Orlando, e la presidente del Comitato, Chiara Saraceno. “Questo lavoro cade in una fase propizia perché il governo ha varato una manovra nella quale sono affrontate alcune questioni, soprattutto legate ai controlli - ha detto Orlando -. Devo dire che una parte consistente delle proposte e delle riflessioni e anche delle valutazioni fatte dal Comitato si pongono su un piano diverso, in alcuni casi invece si sovrappongono, soprattutto per quanto riguarda la congruità dell’offerta del lavoro. Credo che sia una base dalla quale il Parlamento potrà partire con una riflessione e anche per ulteriori integrazioni”. Il testo presentato oggi “offre una riforma organica e ambiziosa, sta poi alla politica adottare misure”, ha aggiunto il ministro. “Il lavoro fatto dal Comitato dà uno schema di riferimento, una traccia, un’analisi che credo serva perché uno dei rischi che corriamo nel discutere del Rdc è di farlo parlando sulla base di pregiudizi invece che sulla base di una valutazione empirica degli effetti che ha prodotto e questa analisi è la prima seria compiuta occasione di offrire un’analisi”. La speranza, ha aggiunto Saraceno, è che il lavoro presentato oggi “contribuisca a risanare il dibattito sul Rdc”.  Una prima analisi riguarda le criticità non dovute al disegno della misura ma al contesto in cui si è trovata ad operare. A compromettere in modo consistente i risultati è stata la pandemia che secondo Saraceno “non ha bloccato solo il mercato del lavoro, ma anche rallentato quella parte di cui non si parla mai ma che riguarda quasi i due terzi dei beneficiari. Si tratta dei patti di inclusione sociale. Invece, tutta la narrazione si è concentrata su quello che non va rispetto al lavoro”. Per Saraceno, inoltre, “sia i servizi sociali dei comuni che i Centri per l’impiego non erano preparati numericamente e talvolta anche professionalmente ai nuovi compiti loro assegnati dalla parte non monetaria del Rdc - ha aggiunto la sociologa -. Il Rdc ha due gambe, è una misura monetaria per sostenere il diritto al consumo minimo che è necessario in un paese democratico quale è il nostro, ma d’altra parte è una misura di rafforzamento delle capacità delle persone in modo da ridurre o addirittura eliminare i processi di esclusione sociale e eventualmente accompagnare all’occupazione chi è in grado di lavorare”.  La prima proposta è quella che riguarda gli stranieri. "Il requisito per accedere al reddito di cittadinanza per gli stranieri è altissimo - ha ricordato Saraceno -: 10 anni di residenza in Italia. Nessun paese l'ha così alto. Noi escludiamo tout court gli stranieri, pur sapendo che gli stranieri legalmente residenti sono il 30% dei poveri”. Per la sociologa, oltre ad un problema di equità “c'è anche una questione di prevenzione: significa lasciare molti in una situazione di esclusione quasi irreversibile, soprattutto i minorenni. La nostra proposta è di prevedere 5 anni di residenza, come il permesso di soggiorno di lunga durata".  L'altro tema cruciale studiato dal Comitato riguarda la scala di equivalenza. Che calcola "i minorenni contino la metà di un adulto è sbagliato, questo fa sì che famiglie numerose abbiano più difficoltà ad accedere al sussidio. È una iniquità tra poveri e particolarmente grave perché a sfavore dei minorenni - ha ricordato Saraceno -. La nostra proposta equipara adulti e minorenni ed alziamo la soglia massima del coefficiente da 2,1 a 2,8, contestualmente abbassando l'importo minimo dell'assegno mensile da 500 a 400 euro. È paradossale che oggi noi sappiamo che la povertà è più concentrata verso le famiglie con più figli mentre i beneficiari sono di più le famiglie piccole ed esclusivamente composte di adulti".  Tra le questioni su cui intervenire, inoltre, c’è la proposta di abolire l'obbligo di spendere l’intero contributo economico entro una scadenza predefinita e anche di ridurre i vincoli sull’utilizzo del beneficio monetario. Secondo il Comitato, l’obbligo di spendere l’intero importo del RdC entro il mese successivo alla sua erogazione “impedisce alle famiglie di risparmiare, anche a scopo precauzionale, in vista di spese future. Ciò è in contrasto con ogni principio di saggia gestione del proprio bilancio. I vincoli all’utilizzo della carta, inoltre, non solo limitano di fatto la libertà delle persone, ledendo il loro status di cittadini adulti e responsabili. Suggerisce anche una visione dei beneficiari come potenzialmente incapaci o irresponsabili solo perché poveri”.  La riforma suggerita dal Comitato non è a costo zero, tuttavia non è neanche impossibile da sostenere. "Secondo le nostre stime cambiare la scala di equivalenza è pressoché a costo zero - ha spiegato Saraceno -. Abbassare il requisito di residenza costa circa 300 milioni di euro, portando dentro 68 mila famiglie in più".   Durante la conferenza stampa non sono mancate domande sulle criticità riscontrate nell’inserimento lavorativo dei beneficiari. Una questione da prendere con le pinze, ha spiegato Saraceno. “Solo il 30% dei beneficiari teoricamente occupabili è stato preso in carico e preso in carico non vuol dire che gli è stata fatta un’offerta di lavoro, ma vuol dire che sono stati profilati - ha spiegato Saraceno -. Non abbiamo dati certi su chi ha rifiutato il lavoro. In realtà non sono ancora stati sufficientemente intercettati sia per quanto riguarda i Centro per l’impiego sia per i patti di inclusione. Siamo cauti su questa fantasia che ci siano tante offerte di lavoro che vengono rifiutate”.  Che ci sia un ritardo sulla riforma dei Centri per l’impiego non è un mistero. Qualcosa, però, si sta muovendo. "Finalmente tutte le regioni hanno presentato il piano di potenziamento dei centri per l'impiego, dopo 3 anni definiamola una buona notizia - ha detto Orlando -. Sulla capacità di spesa ho intenzione di pubblicare i dati sul sito del ministero perché credo sia giusto un monitoraggio pubblico. Ci sono regioni che sono molto avanti e altre molto indietro, non solo del Sud”.

Gianni Augello

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)