Reddito di cittadinanza. “Non si può partire sempre dall’anno zero”

Così il portavoce dell’Alleanza contro la povertà, Roberto Rossini, sul dibattito che sta interessando la misura. “Serve una riforma di quel che non ha funzionato: un reddito 2.0”. Tra le proposte la riduzione del requisito di cittadinanza da 10 a 2 anni per gli stranieri e una nuova scala di equivalenza. Ma i costi aumenterebbero

Reddito di cittadinanza. “Non si può partire sempre dall’anno zero”

Sulle misure di contrasto alla povertà “non si può partire sempre dall’anno zero, tuttavia è giunto il momento di sviluppare una versione 2.0 del Reddito di cittadinanza”. A chiederlo è Roberto Rossini, portavoce dell’Alleanza contro la povertà che di recente è tornata a ribadire l’urgenza di una riforma della misura bandiera del Movimento 5 stelle, attualmente l’unica a livello nazionale per il contrasto alla povertà. Proposte definite e pubblicate già nel luglio scorso e che oggi tornano ad inserirsi - non senza fatica - in un dibattito politico aspro che vede contrapposti i sostenitori dell’abrogazione senza mezzi termini della misura e chi invece vorrebbe salvarla, sebbene con qualche ritocco. Per Rossini, una cosa è certa: non si può tornare indietro. “Ci sono delle proposte sul tavolo - spiega -. 
Quel che serve è una riforma delle parti del provvedimento che non hanno funzionato. Ci sono studi che ci dicono quali sono gli elementi sui cui lavorare, senza partire ogni volta da zero. Dobbiamo mettere in conto che non si tratta soltanto di approvare o no una misura, c’è anche una ricaduta concreta sul territorio”. Questioni che non sembrano rientrare nel confronto politico di questi giorni. “Il clima non è positivo - ammette Rossini -. È giusto che si apra un dibattito su un tema di attualità, visto che l’Istat ci ha detto che i poveri sono aumentati, ma il problema è che questo dibattito si gioca sull’idea dell’abolizione e sulla questione dei furbetti. Anche una ricerca della Caritas dice che una quota del Rdc viene percepita dai cosiddetti furbetti, ma la stessa ricerca dice anche che una fetta di poveri non riesce a percepirlo”. E sui “furbetti” del Reddito di cittadinanza, Rossini continua: “È un tema che andrebbe trattato a 360 gradi. Non va bene che se ne parli solo in merito al Rdc. I furbetti sono un problema di questo paese: ci sono su tanti altri provvedimenti e anche dal punto di vista dell’evasione fiscale”. Per l’Alleanza contro la povertà gli elementi di criticità della misura sono stati evidenziati “fin dal primo momento e confermate sin dalla sua entrata a regime”. Tuttavia, in una nota dei giorni scorsi, il cartello di organizzazioni riunite nell’Alleanza ha confermato la “necessità indifferibile di avere in Italia una misura di contrasto alla povertà adeguatamente finanziata per rispondere al crescente numero di famiglie in condizione di bisogno. Una necessità resa ancor più indiscutibile dalle conseguenze economiche e sociali provocate dalla pandemia”. Secondo l’Alleanza, nel 2021 in 5 milioni hanno ricevuto una misura di sostegno al reddito a fronte di una attestata condizione familiare di difficoltà (3,7 milioni il Reddito di Cittadinanza, 1,3 milioni il Reddito di Emergenza). “Questi numeri ci confermano una drammatica certezza: la povertà è una questione troppo seria per essere trattata con tanta insopportabile superficialità come sta avvenendo in queste settimane”. Su una cosa non ci sono dubbi: dopo la social card, il Sia (Sostegno per l’inclusione attiva) e il Rei (Reddito di inclusione), anche il Reddito di cittadinanza - nell’attuale configurazione - sembra essere giunto al giro di boa e non è detto che, se dovesse salvarsi qualcosa dell’attuale misura, possa continuare a chiamarsi allo stesso modo. “Non mi fossilizzerei sul nome - spiega Rossini (che con l’Alleanza contro la povertà da sempre propone il Reis, il Reddito di inclusione sociale) -. Si può chiamare in mille modi, ma alcune caratteristiche vanno comunque mantenute perché c’è il rischio di indebolire l’unico strumento che abbiamo contro una povertà crescente. Il problema è la sostanza, non il nome”. Anche se, ammette lo stesso Rossini, una nuova denominazione della misura potrebbe aumentare la confusione tra i beneficiari. Un problema che ha già avuto le sue gravi conseguenze con alcune delle misure contro la povertà adottate in Italia prima dell’attuale Rdc. "Sostanza", per Rossini, vuol dire proposte concrete di riforma della misura: dalle scale di equivalenza al requisito della cittadinanza per gli stranieri, dalla convivenza con l’assegno unico per le famiglie ai meccanismi di in-work benefit.  La prima richiesta dell’Alleanza è quella di “sostituire l’inadeguata scala di equivalenza del RdC, penalizzante per i minori, con quella dell’Isee eliminando l’attuale tetto che sfavorisce le famiglie numerose”. Per Rossini si tratta di una proposta “che sosteniamo da tempo - afferma -. Così com’è, la scala è troppo sbilanciata a favore dei singoli e non tiene conto della numerosità della famiglia”. C’è poi la questione dell’accesso degli stranieri.
Il requisito dei dieci anni di residenza per gli stranieri è insostenibile - spiega Rossini -. Noi vogliamo portarlo a 2 anni”. Un’altra modifica riguarda il vincolo aggiuntivo sul patrimonio mobiliare che secondo Rossini “potrebbe essere una di quelle ragioni che, come dice la Caritas, ci porta a non intercettare fasce di povertà”. Una possibile soluzione, spiega il documento dell’Alleanza, potrebbe essere quella di “renderlo più flessibile, prevedendo magari un innalzamento della soglia limitato per includere coloro che sono poco sopra il margine o un meccanismo che preveda un suo ulteriore allentamento legando requisito di accesso e importo del beneficio alla combinazione fra reddito e patrimonio, in modo da farlo risultare escludente in misura graduale”. C’è poi l’assegno unico e universale di prossima introduzione che secondo l’Alleanza “non deve entrare nel reddito ai fini Isee necessario per la determinazione del RdC. Le due misure dovrebbero restare separate e l’importo del nuovo assegno dovrebbe dunque aggiungersi al RdC”.  Non mancano, poi, le proposte che mirano all’implementazione dei percorsi d’inclusione. Per prima cosa, si legge nel report dell’Alleanza, sarebbe utile reintrodurre i punti unici di accesso previsti per il Rei. Questo passaggio, infatti, potrebbe risolvere il problema della mancanza di una valutazione preliminare di alcuni requisiti di accesso; delle difficoltà nel reperimento dei documenti per la presentazione della domanda; dell’incapacità di presentare la domanda per i soggetti vulnerabili e persino il problema nell’utilizzo degli strumenti informatici.  C’è poi il tema dell’inclusione lavorativa. Per l’Alleanza è necessario “rafforzare i percorsi di inclusione lavorativa, anche prevedendo specifici meccanismi di in-work benefit”. “Il problema è che il lavoro in Italia è retribuito male - spiega Rossini -. Ci sono persone a cui vengono offerti lavori a stipendi veramente molto bassi. Quindi la questione potrebbe essere di provare ad immaginare formule miste. Come Alleanza stiamo elaborando una proposta per provare ad immaginare una formula per cui il beneficiario può cumulare il reddito da lavoro, se basso, con una parte del Rdc. Potrebbe essere una strada. È stata già fatta qualche proposta a luglio e stiamo lavorando per provare a definirla meglio”. La riforma del Reddito di cittadinanza immaginata dall’Alleanza contro la povertà, tuttavia, non è a costo zero. “È chiaro che se per gli stranieri il requisito dei 10 anni passa a due il costo aumenta, perché aumenta il numero delle persone che potrebbero beneficiare della misura. Anche il nodo che riguarda l’assegno famigliare è una questione economica”, spiega Rossini. Secondo lo studio presentato a luglio dall’Alleanza, infatti, il passaggio da 10 a 2 anni per la cittadinanza degli stranieri comporterebbe “un significativo incremento delle famiglie beneficiarie (pari a 150 mila) a fronte di un costo tutto sommato contenuto, pari a circa 900 milioni di euro, con un sensibile calo dell’indice di povertà (-1,99 punti percentuali)”. Anche la revisione della scala d’equivalenza farebbe aumentare i costi, per via di “un ampliamento della platea dei beneficiari di 395mila famiglie e un costo di 3,2 miliardi, una cifra tutto sommato raggiungibile in una fase di emergenza economica quale quella in cui siamo, e determinerebbe un significativo calo dell’indice di povertà (-2,31 punti percentuali)”, si legge nel documento di luglio. Una prospettiva su cui gli esperti dell’Alleanza contro la povertà sono già al lavoro, visto che il tema delle risorse è notoriamente al centro degli scontri politici. “È per questo che pubblicheremo un nuovo documento in vista della legge di bilancio”, conclude Rossini.Gianni Augello

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)