Resistenza: Tessarolo, “i valori messi a rischio dal deficit di memoria”

Il presidente della Federazione che raccoglie l'eredità della lotta partigiana cattolica e delle formazioni autonome richiama l'impegno di tante donne e uomini che agirono, a rischio della propria vita, contro il nazifascismo per restituire libertà e dignità al popolo italiano. Il dovere di trasmettere quegli stessi principi alle nuove generazioni. Le preoccupazioni per le recenti manifestazioni di sapore fascista. Il 27 e 28 aprile a Milano vari eventi e un convegno per celebrare i 70 anni della Fivl

Resistenza: Tessarolo, “i valori messi a rischio dal deficit di memoria”

“Dai nostri giovani, e non solo da loro, la Resistenza viene troppo spesso percepita come una storia lontana nel tempo. I valori della lotta di liberazione dal nazifascismo, che forse abbiamo dato per scontati, rischiano l’eclissi della memoria oppure vengono consegnati alla retorica o a momenti celebrativi poco partecipati. Invece c’è bisogno di tenerli vivi, attuali, attraverso la conoscenza, la ricerca e la divulgazione, perché si tratta di principi cardine della nostra odierna convivenza”. Francesco Tessarolo, di Bassano del Grappa, è presidente della Fivl, Federazione italiana volontari della libertà, sorta 70 anni fa per scissione dall’Anpi. La Fivl – che oggi comprende 28 associazioni partigiane territoriali di Lombardia, Piemonte, Veneto, Liguria, Friuli, Emilia-Romagna e Toscana – ha una forte impronta cattolica. Nel 1948, in piena “guerra fredda”, quando in Italia una vera e propria cortina divideva la Democrazia cristiana dai Socialcomunisti, e la politica estera si polarizzava tra filo americani e filosovietici, i partigiani dal fazzoletto azzurro o verde, “che provenivano in gran parte dalle parrocchie e dall’Azione cattolica, decisero di creare una Federazione autonoma” rispetto all’Associazione nazionale partigiani d’Italia. Venerdì 27 e sabato 28 aprile, a Milano, sarà dunque celebrato il 70° di fondazione della Fivl, ruotando attorno a due luoghi emblematici che ispirarono la resistenza nelle formazioni di ispirazione cristiana: il Collegio San Carlo di corso Magenta e l’Università Cattolica di largo Gemelli (per il programma www.fivl.eu).

Presidente, lei è al timone della Fivl dal 2016. I suoi predecessori sono stati il generale Raffaele Cadorna, Enrico Mattei, il generale Mario Argenton, Aurelio Ferrando, Paolo Emilio Taviani e Guido De Carli, recentemente scomparso. Raccoglie dunque un’eredità e un ruolo di rilievo…
Me ne rendo conto. Si tratta di figure illustri della nostra storia nazionale ed esponenti di spicco della lotta per la libertà e la democrazia. È questo il messaggio che essi ci lasciano, assieme a tutti coloro che operarono, in forme diverse, contro l’oppressione e i regimi responsabili della seconda guerra mondiale. Io, anche per ragioni anagrafiche, non ho fatto la Resistenza, ma ne ho respirato l’aria in famiglia. Mio nonno Girolamo nel 1931 fu licenziato dalla ditta in cui lavorava perché non aveva voluto prendere la tessera del Fascio. E aveva moglie e sette figli, tra i quali mio padre, Paolo, che fu poi partigiano.In casa abbiamo sempre avvertito questo forte richiamo alla libertà e alla giustizia. Valori che, per quanto mi è stato possibile, ho cercato di trasmettere ai miei studenti, insegnando storia e filosofia.

Un ricordo vivo quello di suo padre partigiano, non è vero?
Mio papà raccontava che quando era ragazzo in canonica a Bassano si ascoltava Radio Londra e l’allora parroco richiamava la gioventù a fare la propria parte per restituire dignità e libertà al nostro popolo. Ma, diceva loro: “Se andate sui monti non dovete mai sparare per primi”. Mio padre lo raccontava di sovente. Voleva essere un tratto distintivo di una resistenza che non contava esclusivamente o principalmente sull’uso della violenza. Pensiamo a quante figure si sono prodigate così: da Teresio Olivelli a Enrico Mattei, da Giuseppe Dossetti a Tina Anselmi a Giovanni “Albertino” Marcora. E poi i fratelli Di Dio, Enrico Martini “Mauri” e tanti altri. E poi c’erano i sacerdoti che sostenevano spiritualmente questi giovani patrioti, le “staffette” partigiane, chi si dava da fare per nascondere o far fuggire all’estero gli ebrei.Fra loro tante persone semplici che, una volta finita la guerra, tornarono alla vita di ogni giorno, proseguendo l’impegno per la ricostruzione di un Paese uscito piegato dalla guerra.

La Resistenza è patrimonio delle giovani generazioni?
Difficilmente può esserlo se il mondo adulto, la famiglia, la scuola, non ne trasmettono la valenza storica e il portato di valori necessario anche oggi! Lo studio e la conoscenza sono le strade principali in questa direzione. E quando si prova a sensibilizzare i giovani su tali aspetti si trova in genere grande attenzione. Anche ora, frequentando le scuole, mi accorgo che sono i racconti di vita, le esperienze dei singoli partigiani e di chi appoggiò in vario modo la Resistenza, pagandone un prezzo personale, a sollecitare l’interesse degli studenti. In questo senso abbiamo raccolto le registrazioni di tante storie personali di partigiani oggi scomparsi. Un’altra modalità per coinvolgere i ragazzi sono le visite ai luoghi della lotta partigiana: i sentieri e le malghe di montagna che furono teatro della vicenda resistenziale, le località di eccidi, persino i monumenti eretti a memoria.

Nella vostra sede di Voghera conservate varie fonti storiche della Resistenza, non è vero?
Certo, abbiamo documenti, lettere, relazioni delle formazioni partigiane, registrazioni di testimonianze personali. Abbiamo molto materiale, in gran parte ancora da studiare. In questo senso mi sento di ringraziare la Fondazione Cariplo che con il suo contribuito ci permette di proseguire le ricerche storiche.

Al giorno d’oggi si rivedono nelle piazze italiane svastiche, saluti romani e formazioni esplicitamente filofasciste che si presentano alle elezioni. Quali riflessioni le suscitano?
Sono manifestazioni che dovrebbero preoccuparci, e che a mio avviso prendono forma anzitutto dall’indebolirsi della memoria collettiva.Quando si dimentica la storia e al contempo di fanno strada egoismi personali e territoriali, quando l’attenzione al bene comune lascia il posto all’individualismo sfrenato, si corre il rischio di una pericolosa involuzione che mina le stesse basi della convivenza e della democrazia.Occorre rimettere al centro il tema della coscienza civica, come vorremmo fare alle celebrazioni di Milano del fine settimana, e i valori iscritti nella prima parte della nostra Costituzione.

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Fonte: Sir