Storie, bussola per affrontare la vita. Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: "La vita si fa storia"

Il messaggio è ispirato dal un versetto del libro dell’Esodo: «Perché tu possa raccontare e fissare nelle memoria». «Il rischio, in questo tempo – sottolinea don Daniele Longato – è delegare la memoria a un cellulare o a un hard disk». Giornata mondiale delle comunicazioni sociali “La vita si fa storia” è il titolo del messaggio di papa Francesco per la 54a edizione. Pubblicato prima della pandemia, invita a “rivestirsi delle storie” per affrontare le sfide della vita

Storie, bussola per affrontare la vita. Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: "La vita si fa storia"

«L’uomo è l’unico essere che ha bisogno ha bisogno di raccontarsi, di “rivestirsi” di storie per custodire la propria vita. Le storie di ogni tempo hanno un “telaio” comune: la struttura prevede degli “eroi”, anche quotidiani, che per inseguire un sogno affrontano situazioni difficili, combattono il male sospinti da una forza che li rende coraggiosi, quella dell’amore. Immergendoci nelle storie, possiamo ritrovare motivazioni eroiche per affrontare le sfide della vita». Queste righe portano la firma di papa Francesco e sono contenute nel messaggio per la 54a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che si celebra questa domenica. Queste righe – certamente rivolte ai comunicatori, ma non solo – sono datate 24 gennaio 2020, festa di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. Il papa ce le ha consegnate prima che scoppiasse la pandemia, eppure sembrano raccontare di questo tempo “diverso” che ancora oggi stiamo vivendo.
Un tempo in cui ci siamo «rivestiti di storie per custodire la vita e affrontare le sfide» dell’oggi. Ecco che, dal grande quotidiano alla pagina Facebook nata “in risposta” al Covid-19, i mezzi di comunicazione ci hanno raccontato che “la vita si fa storia”, come recita il titolo del messaggio di papa Francesco.

Una storia di pelle
«Questo titolo mi fa venire in mente le storie che da piccoli ci hanno raccontato i genitori, ma soprattutto i nonni – evidenzia don Daniele Longato, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della Diocesi – Mio nonno materno mi parlava delle sue imprese di guerra e mi mostrava le foto, ma anche le sue cicatrici. Delle storie vissute, e raccontate, portava il segno sulla pelle. Anche la storia che siamo vivendo oggi, inedita, ci sta lasciando segni precisi. Visibili e invisibili, nel bene e nel male. Un segno forte è stato sicuramente quello della mancanza di un incontro, un abbraccio, un luogo, un’esperienza... Abbiamo tutti, sulla nostra pelle, sperimentanto l’attesa di qualcuno, qualcosa... Da questa mancanza, e non solo, cosa abbiamo imparato? Questa storia è stata, ed è, maestra di vita? Cosa abbiamo fissato nella memoria?

Raccontare e fissare
A ispirare il messaggio di papa Francesco è un versetto del libro dell’Esodo: «Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria» (10,2). Quando i figli d’Israele schiavizzati gridano a Dio, lui ascolta e si ricorda della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe: «Dio guardò la condizione degli Israeliti e se ne diede pensiero». «Dalla memoria di Dio – scrive Francesco – scaturisce la liberazione dall’oppressione, che avviene attraverso segni e prodigi. È a questo punto che il Signore consegna a Mosè il senso di tutti questi segni: “Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria di tuo figlio e del figlio di tuo figlio i segni che ho compiuti...”».
«Quante storie ci raccontiamo ogni giorno... – sottolinea don Daniele – L’emergenza sanitaria, che ci ha costretti tutti a casa – dove certamente abbiamo avuto l’occasione per riscoprire la storia familiare, l’essere moglie, marito, padre, madre, figli, nonni... – ci ha privato di tutto ciò che c’è di “fisico” quando ci si racconta. I dispositivi moderni di comunicazione sono stati preziosi in questo senso, ma non restituiscono quell’atmosfera che si crea quando qualcuno ti/si racconta... E allora, quale storia raccontare perché si fissi nella memoria? Quella in cui è possibile toccarci, vederci, parlarci... Se la storia, questa storia, ci ha insegnato qualcosa, nella prossima cena con un amico... metteremo via il cellulare e vivremo in pieno l’incontro con l’altro».

Quella forza che rende coraggiosi
«Questo tempo mi ha fatto pensare alla figura di Penelope, che, in attesa del ritorno di Ulisse, fa e disfa in continuazione la sua tela. Lo fa perché è fedele nell’amore. Aveva promesso che avrebbe scelto il futuro marito, non tornando l’amato Ulisse, alla fine del suo lavoro. Che non finisce mai... Tanti, dentro all’emergenza, si sono trovati a fare e disfare nell’incertezza – di salute, di lavoro, di futuro – e questo ha, a un cento punto, fatto perdere la speranza. Tanti hanno vissuto uno strappo, sulla loro pelle, che ora sono chiamati a ricucire. Come delle vele rattoppate: non sono perfette, forse, ma prendono comunque il largo. Come quelle storie segnate, ma uniche. Storie da raccontare, anche se ci sentiamo fragili e inadeguati».

Il tesoro degli “eroi”, anche quotidiani
Sono state davvero molte le persone che nell’emergenza hanno “servito” il paese ogni giorno e continuano a farlo. Qualcuno ha anche perso la vita per questo… Come “fare tesoro” di questo eroismo dettato – sottolinea Francesco – dalla forza dell’amore? «Per custodire una cosa, devi ri-conoscere che è preziosa – sottolinea don Daniele – Devi conoscerla di nuovo. Tante persone sono state preziose in questo tempo, ma lo erano anche prima! Medici, infermieri, cassieri, autisti del bus, forze dell’ordine... non hanno improvvisato ciò che hanno fatto durante la pandemia. Proviamo a ri-conoscere chi lavora, fatica, suda, rischia la vita... ogni giorno. Proviamo a ri-conoscere il vicino di casa sempre, non solo quando ci accomuna un’emergenza. Custodiamo queste storie, vicine o lontante, ma non in un telefono o su un hard disk. È il rischio di questo tempo... Raccontiamole! In realtà lo stiamo già facendo».

Esiste la luce
Papa Francesco scrive: «Anche quando raccontiamo il male possiamo riconoscervi nel mezzo il dinamismo del bene e dargli spazio». Bella sfida per tutti, non solo per chi comunica di professione. «In questi giorni ho avuto modo di leggere alcune parole di Ezio Bosso, musicista, composistore e direttore d’orchestra scomparso da poco. Diceva questo: “La memoria è anche ricordarsi che si può vivere meglio, che esiste la luce. Inveve spesso, a furia di parlar di buio, pensiamo che la luce non ci sia più. Quindi non la cerchiamo, non ci ricostruiamo. La memoria ci serve anche a questo”. C’è stato il buio in questo tempo? C’è stato il male? Certo, ma ci sono stati, ci sono e ci saranno ancora, segnali di luce, segnali di bene. Siamo chiamati a vedere le cose con una luce diversa. Siamo chiamati a ri-flettere: se mi raccontano una storia buona, che lascia traccia in me, poi viene naturale raccontarla di nuovo. Rifletto ad altri una luce ricevuta. È una condivisione buona che porta il bene».

Piste per i comunicatori, ma non solo
«Ascoltiamo le storie delle persone, raccontiamole, valorizziamole. Questo vale per il “nostro piccolo”, ma anche per i mezzi di comunicazione. Spendiamoci, come cristiani, per raccontare la cosa più bella che abbiamo: l’eucaristia. A chi ci è prossimo, ma anche ai lettori, agli utenti dei social... Impariamo a usare in modo più consapevole i moderni strumenti di comunicazione, perché non servano solo nel tempo dell’emergenza. Senza esagerare, certo. Sento forte, poi, il tema della bellezza: riscoprendola, potremo raccontarla. La bellezza delle cicatrici, delle vele rattoppate, della tela fatta e disfatta per amore... la bellezza della vita che si fa storia. E la bellezza della Chiesa, che dobbiamo solo far ri-splendere. Ultima dritta che mi viene in mente è questa: non torniamo a fare come si faceva prima».

Storia sacra

«Una buona storia – scrive papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali – è in grado di travalicare i confini dello spazio e del tempo. A distanza di secoli rimane attuale, perché nutre la vita».
Il riferimento primo è alla Storia della Salvezza, che è viva e buona e costruisce e guida l’azione dell’uomo… Che “dritte” ci consegna la Storia sacra per il futuro che verrà? «Sono tante le storie della Bibbia che possono farci da bussola, ma – dato che siamo vicini alla solennità di Pentecoste, che si celebra il 31 maggio – andiamo in cerca di quelle storie in cui è evidente che l’azione dello Spirito Santo, o la sua invocazione, ha portato a scelte provvidenziali in situazioni di fatica. Storie in cui le persone si sono incontrate, hanno pregato, si sono confrontate e hanno invocato lo Spirito Santo perché le accompagnasse a compiere scelte giuste, nuove, sapienziali. Facciamo nostre quelle storie per illuminare le scelte di oggi e domani».

I media diocesani nel tempo del #iorestoacasa

«Hanno ricucito uno strappo... con un filo digitale»: questo, secondo don Daniele, hanno fatto i media diocesani. «Tante le modalità con cui si è voluto essere vicini: le messe in diretta, il sito della Difesa gratis, l’aggiornamento costante del sito della Diocesi, le pagine Facebook...
I moderni strumenti di comunicazione ci hanno permesso di essere vicini anche se distanti. La Diocesi, con gli strumenti che ha, si è subito attivata per questo. Ma lo stesso hanno fatto i parroci, che volevano essere vicini alla propria comunità. Anche se non basta fare un video, c’è una bellezza da cogliere. La Cei, per questo motivo, ha pubblicato il vademecum “Celebrare in diretta tv o in streaming”. C’è un passaggio interessante, di cui fare tesoro tutti: “Non bisogna mai dimenticare che l’eucaristia è grande dono: dobbiamo prenderci cura della sua celebrazione”».

Tante occasioni e strumenti per essere vicini come Chiesa

Durante il lockdown gli organismi diocesani di comunione hanno continuato a incontrarsi, grazie a una piattaforma on line. La Pastorale dei giovani ha creato occasioni di incontro e formazione, sempre “via video”. La Via Crucis del mercoledì santo è stata proposta in streaming e ha raccolto, come al solito, molti partecipanti. I gruppi di Ac e scout hanno continuato a fare gruppo, anche se ognuno a casa propria.
La Diocesi, poi, ha offerto numerose occasioni – attraverso vari sussidi – per interagire con i proprio fedeli.
«Forse è stato dato troppo – riflette don Daniele – La “mamma chiesa” ha reagito così nell’emergenza. Il rischio, però, è di soffocare… Sarà importante chiederci, in vista del dopo: siamo riusciti a dare le cose giuste? Forse no, ma perché non conoscevamo abbastanza i destinatari. Dobbiamo imparare anche da questa storia».

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