Ucraina. Il sostegno dei padovani: braccia aperte per chi fugge

Sono 1.390 i chilometri che separano Leopoli da Prato della Valle, ma un filo sottile, resistente e generoso unisce le città. E le anime di chi qui vive o passa, di transito, alla ricerca di un futuro. Piccoli gesti dal valore umano enorme

Ucraina. Il sostegno dei padovani: braccia aperte per chi fugge

«Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto». ML’idea di padre Pino Puglisi è rifiorita a Padova grazie alla “mobilitazione” per l’Ucraina. Medici, pediatri, infermieri che si sono messi a disposizione della rete di accoglienza. Con la “guardia di solidarietà”, il turno di volontariato, la visita di controllo ai bambini. Gesti semplici e automatici, senza preoccuparsi troppo della burocrazia o del primario. Come nel caso della donna incinta di due gemelli ricoverata in via Giustiniani, dopo la fuga attraverso la Polonia e il lungo viaggio fino a Padova. Sarà un parto davvero speciale nell’Azienda ospedale università, che in frangenti simili sa dimostrarsi più che eccellente grazie al suo personale di base. Nella serata di sabato 5 marzo, ha fatto tappa il bus dell’associazione Pro infanzia Chernobyl diretto a Napoli.

A bordo una sessantina di piccoli profughi di guerra. La comunità della parrocchia di San Camillo De Lellis, anche grazie alla pronta disponibilità di padre Roberto Nava, li aspettava fuori dal casello di Padova Est. Gli scout del Padova 2, i giovani universitari, gli adulti in contatto con gli autisti hanno provveduto a fornire la cena in vaschette di alluminio, ma soprattutto una mini-chitarra per stemperare l’ultima tappa dell’Odissea. In chat finalmente l’annuncio dell’approdo in riva al golfo: «I nostri eroi sono giunti a Napoli! Stanno sistemando la documentazione per affidarli alle famiglie destinatarie. Un grazie speciale alla persona che ha donato i giocattoli: è riuscita a strappare un sorriso nella disperazione». Sono 1.390 i chilometri che separano Leopoli da Prato della Valle. Ma un filo sottile, resistente e generoso unisce le città. O le famiglie, che si ritrovano con un genero che resta a combattere dopo aver salutato moglie e figli in viaggio mentre chi vive a Padova da lustri scopre la disponibile solidarietà dei padovani. Un itinerario parallelo, fra ostacoli e comunicazioni a singhiozzo. Da una parte, madre e figlia ucraine alle prese con i “capricci” della macchina e le incognite delle frontiere. Dall’altra, i padovani che partecipano in diretta agli effetti della guerra e aprono le porte di casa. Qualcosa è già scattato. E si può fare ancora molto.

La preghiera per la pace della Chiesa di Padova

«Io, nei tanti anni di vita che il Signore mi ha donato, non ho mai visto camminare sulle strade di Calcutta o in giro per il mondo la guerra, la fame, la miseria o la povertà. Ho visto e toccato morti di guerra, bambini poveri, donne misere, anziani e affamati, moribondi per strada leccati dai cani». Sono le parole di madre Teresa di Calcutta ricordate dal vescovo Claudio, mercoledì 2 marzo, in occasione della preghiera di pace organizzata dalla Diocesi di Padova sul sagrato della Cattedrale. Assieme al sindaco Sergio Giordani si sono uniti al gesto di solidarietà numerosi fedeli oltre
ai responsabili della comunità cristiana cattolica ucraina, della Chiesa ortodossa greca, rumena, moldava, della Chiesa luterana di quella valdese metodista.

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