Un 2021 più umano per tutti. Lo sguardo di una famiglia sul nuovo anno

Guardano al nuovo anno con fiducia e con la consapevolezza di aver riscoperto le cose davvero importanti. Silvia e Sante hanno cinque figli: tre naturali e due in affido. L’ultimo, di appena due anni, lo hanno accolto in casa alla vigilia del lockdown. «Ci ha insegnato a sorridere di quel che c’è, a gioire delle piccole cose». La loro testimonianza tra speranze e preoccupazioni per il futuro, toccando temi cruciali come la scuola e il lavoro. 

Un 2021 più umano per tutti. Lo sguardo di una famiglia sul nuovo anno

Con un forte desiderio nel cuore: di vita, di relazione, di incontro. Tenendosi stretta quella consapevolezza maturata nei dieci lunghi mesi di emergenza Covid. Silvia Blecich, Sante Pagnin e i loro cinque figli (tre naturali e due in affido) si affacciano fiduciosi a questo nuovo anno ancora tutto da scrivere: «Ci affidiamo, con la certezza che qualunque cosa il Signore ci chiederà per il 2021 non ci lascerà soli».

Proprio come è successo l’anno scorso, quando nelle loro vite è arrivato un regalo inaspettato: un bimbo di un anno e mezzo, all’epoca, che chiameremo Giulio, accolto in affido proprio nei giorni in cui l’Italia diventava “zona rossa”. «Ci ha insegnato a sorridere di quel che c’è senza lamentarci» racconta Silvia, 47 anni, responsabile dell’associazione Famiglie per l’accoglienza Veneto. Lei e il marito la fragilità ce l’hanno sotto gli occhi tutti i giorni, incrociando i vissuti delle persone con disabilità e dei detenuti che lavorano nella cooperativa sociale Giotto, di cui Sante è direttore e Silvia responsabile amministrativa. In questi mesi la fragilità l’hanno sperimentata in prima persona.

Non è facile condividere intere giornate quando si è in sette sotto lo stesso tetto e ci si deve difendere da una pandemia: paure, angosce, disagi logistici e organizzativi anche solo per ricavarsi uno spazio e un accesso a internet per seguire le lezioni a distanza o lavorare in smart working. E da ultimo anche l’isolamento, perché il virus ha fatto breccia in quella casa della zona industriale di Camin, frazione di Padova. «Ma al posto della fatica ha prevalso il desiderio che l’altro stesse bene – sottolinea Silvia – anche attraverso le cose più semplici come occuparsi delle faccende di casa, cucinare o gustarci le ore in compagnia. Credo sia stato un tempo faticoso ma ricco, perché siamo diventati tutti più consapevoli di quanto siano importanti i gesti finora considerati scontati: un bacio, un abbraccio, una stretta di mano. Ci siamo accorti del tesoro che c’è fra noi».

Ed è proprio questa la consapevolezza che Silvia intende tenersi stretta per affrontare il 2021. Mentre lei si racconta dallo schermo del computer, seduta accanto al marito, la figlia Elena attraversa il salotto con in braccio il piccolo Giulio. La coppia ha tre figli naturali – Stefano, 19 anni, Elena, 18, Andrea, 17 – e due in affido: Chiara (nome di fantasia), 15 anni, e Giulio, di appena 2. Lo hanno accolto in casa il 6 marzo. Due giorni dopo, l’intera penisola è diventata “zona rossa”. «Da un giorno all’altro questo piccoletto si è trovato in una casa di estranei – racconta la mamma affidataria – Ci ha messo settimane ad abituarsi al nuovo ambiente e a imparare i nostri nomi: tutte le mattine, a colazione, ci presentavamo, come se fosse un gioco. Lui salutava la mamma naturale via Skype. Eppure non si è mai lamentato della situazione. Gli bastava l’amore che riceveva, non gli serviva altro».

La conferma di aver sperimentato il senso più profondo dell’essere famiglia è arrivata in modo quasi inaspettato. Stefano, il più grande, per il terzo anno di fila ha trovato un lavoretto stagionale come cameriere in un albergo, lontano da casa. Ma solo stavolta la nostalgia ha bussato con insistenza alla sua porta: «Mi mancate tantissimo. In particolare Giulio, che è stato il regalo più bello di quest’anno» ha scritto in un messaggio. «Aveva mille motivi per essere orgoglioso, visti i tanti successi personali – rivela la mamma – eppure ha riconosciuto che la vera gioia sta nell’amare».

Anche a papà Sante, 49 anni, la lontananza ha permesso di mettere a fuoco i sentimenti più autentici. Per 24 giorni è rimasto isolato nella mansarda di casa: nei momenti di sconforto i pochi metri che lo separavano dal resto della famiglia si dilatavano fino a diventare chilometri. Silenzi da colmare, ma anche silenzi in cui meditare. «Mi sono commosso profondamente ascoltando la musica accesa da una delle mie figlie mentre si faceva la doccia, perché mi sono chiesto cosa stesse provando in quel tempo sospeso, in quei momenti difficili. Mi sono accorto di lei senza vederla».

Guardare con amore, mettersi in ascolto, tendere la mano: sono gli atteggiamenti riscoperti nei mesi di emergenza e che la famiglia intende coltivare anche in questo 2021 nato sotto la buona stella del vaccino anti Covid, con cui i Paesi di tutto il mondo sperano di archiviare la pandemia, ma ancora pieno di incertezze. A partire dalla scuola.

«Ci siamo adattati a un nuovo modo di fare scuola che però secondo me non è scuola» spiega Elena, al quarto anno del liceo delle scienze umane Duca d’Aosta di Padova. Spera di tornare in classe al più presto. «Ho capito che la scuola non è solo memorizzare date e informazioni, è molto di più. È soprattutto relazione». «È emerso il desiderio di incontrarsi, di capire, di studiare, di avere un’insegnante in carne e ossa che ti guardi negli occhi anziché attraverso lo schermo – aggiunge mamma Silvia – Sono venute a galla le grandi domande dei giovani e noi come genitori e come comunità educante siamo chiamati a raccoglierle e a cercare insieme a loro una risposta adeguata».

L’altro nodo venuto al pettine è quello del lavoro. La cooperativa Giotto, occupandosi di servizi essenziali come la raccolta dei rifiuti, la manutenzione del verde pubblico e il call center in ospedale è sempre rimasta operativa. «Ma per molte altre realtà è stato un anno terrificante – osserva Sante – L’auspicio è quello pronunciato da papa Francesco: tornare a un lavoro che dia dignità all’uomo, non soltanto profitto, permettendo a ciascuno di esprimere il proprio talento. La cosa che più amo del mio lavoro di direttore è proprio il tentativo di cucire la mansioni addosso alle persone, come un abito su misura, valorizzando le capacità di ciascuno».

L’ultimo pensiero, prima di spegnere il computer per sedersi a tavola a cenare tutti insieme, è di Elena: «Spero torneremo sì alla normalità ma più consapevoli. Vorrei che i mesi difficili non fossero solo un brutto ricordo collettivo da cancellare ma uno stimolo per cambiare il nostro modo di vivere». Rendendolo più empatico, più fraterno. In una parola più “umano”.

Una vita dedicata all'accoglienza. «Non potevamo restare indifferenti di fronte all'innocenza ferita»
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Per dieci anni Silvia e Sante hanno lavorato negli alberghi: lui come direttore, lei come impiegata amministrativa. Ed è lì che hanno messo su famiglia, spostandosi da una località turistica all’altra: uno dei loro figli naturali è nato in Svizzera, un altro a Lecco. La crisi economica del 2008, che non ha certo risparmiato il settore, li ha costretti a un cambio di rotta sul piano professionale, facendoli approdare alla cooperativa sociale Giotto di Padova. In quegli anni si sono accostati anche alla realtà dell’affido familiare, attraverso l’associazione Famiglie per l’accoglienza. «Ho conosciuto il dolore di un bambino, coetaneo del mio figlio più piccolo – racconta Silvia – Non potevamo restare indifferenti di fronte a storie di innocenza ferita». Accogliere qualcuno in casa era naturale per la loro famiglia, nata e cresciuta in albergo. «L’aspetto più difficile è stato semmai affrontare le domande sul dolore – confida Sante – Quando i nostri figli ci chiedevano: perché questi bambini vivono a casa nostra pur avendo dei genitori?». 

«Sappiamo che il Signore ci salva ogni giorno»

La fede è il faro che guida questa famiglia di Camin. «Senza il Signore non so cosa avremmo fatto. La sua è una carezza misericordiosa – afferma Silvia Blecich, 47 anni, madre di cinque figli (tre naturali e due in affido) ripensando alle difficoltà affrontate in un 2020 profondamente segnato dall’emergenza sanitaria – Anche se noi ci sentiamo limitati da questa pandemia, Dio continua a tessere il suo meraviglioso arazzo, che è il progetto di vita ricamato per ciascuno di noi. Nel nostro, Dio ha messo un grande regalo: il piccolo Giulio, con noi da marzo scorso. Ci ha insegnato ad apprezzare le piccole cose». Quella che si affaccia al 2021 è una famiglia più consapevole, che non si vergogna più di mostrare le proprie debolezze: «Siamo coscienti delle nostre miserie, ma sappiamo di essere salvati ogni giorno». 

L’Ufficio famiglia è impegnato sul fronte affido e adozione

Silvia Blecich e Sante Pagnin fanno parte dell’équipe Fraternità delle famiglie affidatarie e adottive creata dall’Ufficio diocesano per la famiglia, di cui è responsabile don Silvano Trincanato. In questi mesi di pandemia il gruppo ha continuato a incontrarsi via web, garantendo supporto ai nuclei affidatari e adottivi. Silvia è anche punto di riferimento dell’associazione Famiglie per l’accoglienza Veneto, una realtà che insieme ad altre associazioni padovane ha saputo creare una rete a sostegno sia di chi è stato messo in ginocchio dalla pandemia, sia di chi ha visto aggravare le proprie difficoltà economiche e sociali. «Abbiamo unito le forze per farci prossimi a chi vive nel bisogno, scoprendo così di essere fiori dello stesso campo – afferma Silvia – l’impegno è di proseguire sulla strada della collaborazione». 

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