Orme nella neve: voci nel silenzio
Il naso schiacciato sulla finestra. Lo sguardo incantato, felice, silenzioso, rapito a inseguire la danza imprevedibile della neve che scende dal cielo! Immagini, ricordi indelebilmente impressi nella memoria di ciascuno. Ci si rivede bambini. Ancora oggi, quello sguardo può tornare e farsi presente, facilmente. Troppo bello.

L’incanto, lo stupore, la gioia, incontenibili, crescono da dentro: e piano piano, si vede ogni cosa prendere una forma nuova, quasi una caricatura di sé. La neve modella e trasforma tutto, senza rovinare nulla. E su tutto sovrasta un silenzio incredibile, avvolto da un ovattato cielo bianco-grigio, eppure luminoso.
Alla fine, quando tutto si acquieta, e il vento finisce di accarezzare il paesaggio, trasformandolo, emerge e rimane solo il fruscio dei passi di chi si avventura attento e curioso in percorsi inediti, incerti, sempre attraenti.
E dietro resta solo una traccia silenziosa e fragile: orme, tracce di desiderio incontenibile.
Ogni riferimento precedente scompare. Eppure, tutto resta, uguale. Anzi, si fa più evidente.
Ogni cosa fa sentire la propria voce, con parole che suonano nuove e che chiedono di essere percepite e intese diversamente: prese sul serio. Voci che, nel silenzio, diventano un invito ad ascoltare, a riconoscere, a vedere oltre, a condividere. In fondo, un invito a vivere meglio il tempo, per non lasciarlo scorrere inutilmente.
Ma come si può riuscire a far sí che il tempo, che ci passa tra le mani, non rischi di sparire come neve, mentre cerchiamo di decidere che cosa farne?
Come riuscire a far sì che quel primo sguardo che ci fa tornare ad essere ancora bambini, ovvero capaci di vivere, non dopo, non nonostante, ma, proprio ora e adesso? Come è possibile restare ancora appiccicati alla finestra, eppure vivere il tempo, nel tempo?
«Il tempo, alternanza di giorno e notte - scrive Alessandro D’Avenia - è semplicemente vita, spazio riservato al corpo per accettare la sua finitezza». Questo è il tempo. Questo è la neve: finitezza che parla di bellezza, provvisorietà che racconta di pienezza, silenzio che raccoglie voci, presente che apre all’infinito.
E quando il tempo da limite si trasforma in durata, da linea orizzontale diventa linea verticale, da attesa genera vita, allora accade di lasciare orme in grado di diventare parole nel silenzio. «Verticale - insiste D’Avenia - è il tempo dell’artista impegnato nella sua opera, verticale è il tempo della madre in attesa, verticale è il tempo delle relazioni vere, verticale è il tempo della preghiera, verticale è il tempo del lavoro appassionato, verticale è il tempo delle foglie più belle prima di cadere, verticale è il tempo delle carezze, verticale è il tempo del perdono, verticale è il tempo dato a un figlio o a un alunno».
E se pare poco: proviamoci. Se pare troppo: riproviamoci.
Giorno e notte, luci e ombre, voci e silenzio, corpi e anime, alti e bassi, passioni e delusioni, provvisorio ed eterno, dentro e d’intorno. Il tempo. L’oggi. Queste sono le orme che, nel silenzio, permettono di mettere insieme presente e passato, cioè: futuro.
L’istante diventa «“stare in”, indugiare e soggiornare, luminosa durata, e non ripetizione da cui fuggire. Qualsiasi cosa facciamo - continua D’Avenia - richiede tempo». E quel tempo è vivo, fecondo e libero quanto piú è viva la destinazione che gli riusciamo a dare. E tutto acquista senso. Anche l’orma, nella neve, che già è scomparsa al nuovo sole.
Germano Bertin