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I nostri anziani pensavano di averle viste tutte: la guerra, la fame, l’asiatica, il terrorismo... mancava la pandemia che per molti è stata fatale. Come ci poniamo di fronte al futuro ora che il presente si profila con uno stile di vita inedito?

Cura Italia” è lo slogan che ha accompagnato i decreti ministeriali di queste settimane per rilanciare il Paese. Di fronte all’emergenza della pandemia ci siamo trovati a curare migliaia di persone contagiate nel corpo e nello spirito. Mai come in questi mesi abbiamo visto tanti medici, tanti infermieri e ospedali. Ma paradossalmente nei luoghi in cui la cura doveva essere di casa, proprio lì è mancata.

Il nuovo giorno inizia con l’alba, prima parte della giornata che si allarga nell’aurora. Per molti è il momento più bello, per altri un fastidioso esodo dal mondo dei sogni. In quei frangenti due sono i verbi che esprimono i primi attimi dell’aprirsi al mondo: svegliarsi e alzarsi.

Quotidianamente assistiamo a forme di aggressività verbale. Una aggressività qualificabile non solo come maleducazione, ma che diventa insulto e perfino offesa. Col passare del tempo le volgarità sono diventate di uso comune. Interiezioni e parolacce escono facilmente dalla bocca di molti. E non solo nei momenti di rabbia o di tensione, ma nei discorsi normali. 

Chi non ricorda la scorciatoia appresa alle scuole elementari per verificare il risultato delle operazioni? La famosa prova del nove... metodo non infallibile, ma dalle buone probabilità di riscontro. Ci vorrebbe un metodo simile anche nella vita, capace di verificare la coerenza e la credibilità delle scelte. È facile fare proclami e promettere, meno realizzarli.

Ce ne accorgiamo nelle relazioni quotidiane che ci mettono alla prova. Da una parte diciamo che le persone sono fratelli e sorelle, dall’altra perfino i parenti stretti sono i primi a diventare estranei.

L’affermazione paolina «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9) ben si addice alla contemplazione del mistero dell’incarnazione. Inconsueta e intrigante come immagine per ridire lo straordinario evento capitato 2000 anni fa e che ogni anno celebriamo nel Natale. Ma a ben vedere ha qualcosa di scandaloso e perfino irriverente. 

Inizia un nuovo anno. E ci accompagna come sempre la figura del nostro “grande santo Antonio”. È questa l’espressione che usa sovente una amica dell’Associazione per ricordare la grandezza di frate Antonio divenuto famoso per i discorsi e per i miracoli. Forse qualcuno si chiederà se i miracoli avvengano ancora.
Se ci sia anche oggi la possibilità di avere delle grazie speciali, favori divini che superano la conoscenza e le speranze che tecnica e medicina ci offrono. Vi posso testimoniare che l’azione provvidenziale di Dio c’è e si manifesta attraverso l’intercessione dei santi.

Diverse teorie spiegano l’origine dell’espressione popolare “restare al verde”, cioè rimanere senza soldi. Una di queste la fa dipendere dal colore finale delle candele usate nelle aste pubbliche: quando la candela arrivava al segno verde si chiudevano le contrattazioni. La suggestione cromatica mi riporta all’evento ecclesiale di questo mese: il sinodo dei vescovi per la regione Panamazzonica (6-27 ottobre). 

In Italia e in molte parti del mondo a settembre c’è una campanella che suona. Segna l’inizio della scuola. Nell’altro emisfero suonerà ugualmente, ma per sancire l’inizio delle vacanze.
C’è sempre una campana che suona, grande o piccola. Ha il compito di avvisare, segnalare, invitare. Ci sono familiari il suono delle campane del paese, lo scampanellio dell’ultimo giro di pista, i rintocchi della torre civica. Oggi altri suoni acustici scandiscono il tempo, ma permane il bisogno del richiamo e dell’avviso.

Sono passati cinquant’anni da quando l’uomo per la prima volta ha messo piede sulla luna. Avevo cinque anni e non potevo percepire il senso di una tale impresa. Ricordo anche la popolare espressione degli adulti a diffidare di coloro che promettono di farti vedere “la luna nel pozzo”. Mi era chiara l’impossibilità per il fatto che la luna sta in cielo. La potevo vedere riflessa nell’acqua buia e profonda, apparentemente a portata di mano, ma non raggiungibile.
Quanti insegnamenti possibili da questa metafora...

Non ci si stanca di stupirsi di fronte alla grande devozione per sant’ Antonio. Una venerazione che non conosce crisi. Visibile nella grande festa del 13 giugno come nella quotidianità dei pellegrinaggi o nelle immagini presenti in ogni chiesa del mondo. La chiamiamo devozione popolare, ma non ha nulla di minimale.

I giorni che viviamo non sono solo il frutto delle scelte del presente, ma la conseguenza di ciò che abbiamo deciso anni addietro. Ogni scelta che compiamo pensando a ciò che deve ancora venire, in realtà la facciamo in base a quel futuro che speriamo si realizzi. Quindi il futuro viene prima del passato. Sembra un paradosso, ma è ciò che avviene quando decidiamo una cosa. Il nostro futuro (che ancora non c’è) lo vorremmo proprio come lo stiamo pensando, e oggi si sta realizzando ciò che abbiamo intravisto anni orsono e che ci ha proteso verso il presente. 

Nel cammino della vita capitano incidenti di percorso: malattie, lutti, sofferenze, abbandoni... C’è chi perde il lavoro, chi si separa, chi subisce un’ingiustizia. I limiti personali e le relazioni umane comportano questo. Chi più, chi meno. Di fronte ai sogni infranti e alle aspettative incompiute il rischio di mollare e di arrendersi è sempre in agguato. 

«Una volta si stava meglio!» Chi non è mai incorso in questa espressione di fronte a situazioni incresciose trovando rifugio nei bei tempi passati? Il tempo andato sembra migliore del presente e forse anche di quello a venire. Ma è solo un modo per esternare facili “lamentazioni”. Quelle che già ritroviamo nei testi dei classici.

La pedagogia ci insegna che l’efficacia educativa si raggiunge quando all’insegnamento si abbinano i fatti. Meglio: quando i comportamenti, le scelte, lo stile di vita di chi accompagna nella crescita sono la traduzione visibile dei valori che abitano il cuore. A che servono consigli, richiami, regole se non seguiti da una vita coerente? La credibilità del cristiano è la prima forma di evangelizzazione.