Festival Biblico 2018: Aprirsi al futuro mette le ali al cuore

Il Festival Biblico sbarca a Padova dall’11 al 13 maggio. Una trentina di eventi suddivisi in cinque percorsi tematici. Al centro: il futuro.

Festival Biblico 2018: Aprirsi al futuro mette le ali al cuore

Trenta appuntamenti in tre giorni, dall’11 al 13 maggio, che tracciano cinque diversi percorsi (biblico-teologico, del dialogo, scientifico, sociale, artistico) affrontando il tema “Futuro”. Questo il Festival Biblico a Padova, pensato e coordinato da don Roberto Ravazzolo, delegato per la Pastorale dell’università.

Perché parlare di futuro a un Festival biblico?

«La domanda – commenta Ravazzolo – è pertinente. Nella Scrittura, infatti, non c’è la parola futuro; si parla però del tempo, dell’uomo e della storia che l’uomo è chiamato a vivere. La storia è lo spazio-tempo che ci è dato per fare esperienza di Dio e della nostra umanità e il futuro è il tempo in cui la profezia e la promessa, di cui ci parla la Bibbia, si compiono. Futuro è compimento non fine. Non è quindi un tempo che capita a caso; va accolto e preparato. Questo rende quanto mai opportuno riflettere sul futuro, perché richiede responsabilità e non casualità».

Che rapporto tra presente e futuro?

«Il presente è segmento di una storia che non finisce nel presente. La nostra cultura ha idolatrato il presente, l’ha fatto l’unico spazio del desiderio umano.

Mentre il concetto di desiderio in quanto tale apre al futuro, perché implica tensione verso qualcosa che non abbiamo ancora. Il presente senza futuro è un godimento fine a se stesso, mentre il presente aperto al futuro crea quello spazio per il desiderio che mette le ali al cuore dell’uomo».

Il futuro è anche lo spazio della speranza?

«La speranza è altro termine biblico che possiamo usare per indicare il futuro. La speranza è coltivare questo desiderio del bene non ancora sperimentato, eccedente, ma raggiungibile, non utopistico. Da questo punto di vista la sapienza biblica ha molto da insegnare. È importante che un Festival Biblico metta a tema il futuro, perché invita a recuperare quelle dimensioni umane che una società consumistica invece appiattisce sull’immediato, sull’avere subito e il più possibile. Valorizzare il presente senza questa prospettiva di speranza, di attesa di un compimento, ci costringe a vivere perennemente nel passato».

Come si guarda al futuro oggi?

«Al futuro guardiamo con tante preoccupazioni, apprensioni e timori perché sono molti gli elementi di incertezza.

Ecco che la speranza, che bilancia la paura, diventa categoria importante non solo dal punto di vista credente, ma anche umano. Per questo all’interno del Festival abbiamo inserito appuntamenti sulla comunicazione, sul digitale, sul dialogo interreligioso: apparentemente spostano l’asse da temi strettamente biblici, ma in realtà mettono al centro dell’attenzione questioni umane che hanno bisogno di essere illuminate di luce nuova, più positiva».

Prevale la speranza o la paura?

«Non c’è una soluzione facile. L’atteggiamento del dialogo, del confronto, dell’incontro tra persone interessate ad affrontare con responsabilità il futuro non è la soluzione però può essere uno strumento importante, da valorizzare. La logica di un Festival è proprio quella di far incontrare persone e condividere strategie, oltre che scavare in questi grandi pozzi della tradizione ebraico- cristiana che sono i libri biblici».

La Bibbia ci invita a discernere i segni dei tempi. E oggi?

«È possibile parlare di segni dei tempi se c’è una visione della storia non destinata a inesorabile decadenza ma paragonabile a una pianta che continuamente si rigenera. Di fronte a un tronco vivo ti fai attento ai fermenti che lasciano presagire un ri-fiorire dell’organismo (sociale, religioso, associativo…), a volte sperando contro ogni ragionevole speranza.

I segni dei tempi presuppongono che un algoritmo e le sue applicazioni siano categorie troppo strette per interpretare l’uomo e il suo futuro. È capace il nostro tempo di uno sguardo sapienziale sulla propria storia e sulle dinamiche che la stanno attraversando? È capace di cogliere segni di un nuovo che si annuncia, fatto non solo di innovazioni che incrementano le vendite e i mercati ma anche di relazioni più umane, di giustizia, di ascolto degli ultimi? I segni dei tempi sono l’aurora di un mondo più umano».

Si dice sempre che i giovani sono il futuro?

«Lo sono nella misura in cui sono il presente, in cui adesso trovano spazio di espressione e di impegno all’interno della realtà a vari livelli ecclesiale, formativo, educativo. Non è pensabile a un futuro dei giovani se non c’è un presente dei giovani».

Per quale pubblico sono pensati gli appuntamenti di questo Festival?

«È pensato per tutti quelli che vogliono impegnarsi nel presente aperti a delle prospettive che si chiariscono un po’ alla volta, con pazienza, giorno dopo giorno. È aperto per chi si sente in cammino, per chi ha audacia nell’affrontare l’esistenza».

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