A passo d’asino. Il viaggio di Jean Ismael Rago verso l'India in compagnia di Titanio e Ambrogio
Jean Ismael Rago ha 52 anni e da due è in cammino per arrivare in India in compagnia di Titanio e Ambrogio, due asini maestri di pazienza. Nel suo cammino ha fatto tappa a Montegaldella. Si definisce pellegrino della pazienza perché «la pazienza apre molte porte nei rapporti umani»
Il cliché classico del pellegrino viene da lontano e riguarda la fede e il sacrificio di chi intraprende cammini fisici e spirituali per giungere a una meta: quasi sempre un santuario. Se però crediamo che il pellegrino riguardi unicamente la cristianità, ci sbagliamo. Tutte le fedi trovano nel pellegrinaggio una pratica tutt’altro che sopita. Così non c’è da sorprendersi quando ci s’imbatte in “pellegrini” fuori dagli schemi, ma con gli orizzonti allargati, da essere i depositari di quella “sapienza” creata con le scarpe. Uno l’abbiamo incontrato qualche giorno fa a Montegaldella, sul confine tra Vicenza e Padova, nel suo spartano bivacco in riva al Bacchiglione, dove il cinquantaduenne francese Jean Ismael Rago in compagnia dei suoi due umili compagni di viaggio, gli asini Titanio e Ambrogio, ha fatto tappa per ripararsi dalla canicola estiva. Impossibile non notare per strada uno che cammina a piedi con un asino che traina un carro e l’altro che si fa trainare. Restano stupiti gli automobilisti. Lo scorgono le persone dai loro balconi. E in internet lo trasformano in un personaggio “strano”: i commenti e le curiosità su questo pellegrino camminano in rete più velocemente della piccola carovana a passo d’asino (3 chilometri all’ora), che ora è diretta verso il Brenta nel Padovano, per poi prendere strade e sentieri verso Trieste. La loro meta, l’India, fa sgranare gli occhi, ma la convinzione o vocazione di Jean, non lascia dubbi sulla temeraria volontà. Un viaggio, anzi un pellegrinaggio, ancora molto lungo che è iniziato due anni fa da La Ciotat (Francia), paese natale dei fratelli Lumière, ad una trentina di chilometri da Marsiglia, collocata nel bel mezzo di un grande golfo, chiamato Golfo di Amur. «Poco dopo, venni depredato di ogni bene come spesso accade ai pellegrini di lungo corso, costringendomi a una lunga sosta per riappropriarmi dei beni essenziali sottratti», ricorda lui nel suo racconto. L’uomo dalla lunga barba ieratica, accompagnato da due asini e un carretto, è l’immagine iconica del viandante d’altri tempi. Chi lo incontra e sente parlare della sua meta, finisce inevitabilmente col considerarlo un gesto di follia: «È naturale pensarlo – risponde lui per niente sorpreso – ma in questa mia “follia”, ci mettiamo la libertà, l’avventura e le emozioni che vivo durante il cammino. È una sana follia anche quella di chi si ferma a parlare con uno come me. E sono in tanti, compreso lei!». Cinque anni di cammino prima di arrivare in India, e altrettanti per poi ritornare in Francia: «Chissà se tornerò? Ci vuol pazienza, ma lo saprò! Oggi intanto ho 52 anni e se tutto andrà bene, tornerò quando ne compirò 62».
«“Je suis un pèlerin de patience”, un pellegrino della pazienza – così Jean ama definirsi – e i miei maestri di pazienza, sono proprio loro, Titanio e Ambrogio, i miei due asini-fratelli. Anzi, figli!», dice, raccontando che erano destinati al macello perché maschi e poi continua: «Quella pazienza che apre molte porte nei rapporti umani, perché favorisce il dialogo. Rafforza la pace e non lascia spazio alla fretta. Se avessimo “pazienza”, forse non nascerebbero le guerre!? Dio stesso è paziente verso noi figli suoi. Perché allora non dovremmo cercarla e coltivarla in noi?!». Queste le parole del pellegrino, quasi delle giustificazioni spiazzanti. Il suo racconto motivazionale prosegue mentre è seduto in riva al fiume, con la tenda, il fuoco acceso e un pannello fotovoltaico che gli serve per alimentare la fioca luce e il computer portatile nella sua essenzialità pellegrina: «In Francia, avevo un lavoro, dei famigliari e una vita frenetica. Il libro di Paulo Coelho Il cammino di Santiago, servì a illuminarmi sul senso vero dell’esistenza e sul cammino. Questo mi indusse a percorrere il Cammino Primitivo di Santiago, senza sapere che passo dopo passo, mi stavo avvicinando a Dio o viceversa. A seguito di questa esperienza, a cinquant’anni, quindi due anni fa, mi feci battezzare. Seguì un sogno, dove compresi ciò che avrei dovuto fare e sto facendo oggi, camminando verso Potal, cittadina indiana poco lontana da Mumbai, per incontrare un “maestro o dei maestri” citati in un libro di Coelho». Restano diecimila chilometri da compiere con pazienza a passo d’asino: «Sento che non è sufficiente definirsi “uomini”, quando dovremmo essere prima tutto “umani”! Ecco perché sono uno studente di quella pazienza, portata su due piedi e otto zampe». Prova ne è, che la sola umile presenza di Jean, “turba” la quiete interiore di chi lo vede camminare, costringendo a chiedersi come un uomo moderno possa perseguire la volontà di essere un “pellegrino della pazienza”? E anche se la meta lui non la raggiungesse, il suo “passare” finisce con l’increspare le acque del mare nostrum interiore.
Anche Sindy
Quattro anni fa, nel padovano transitò con un’asina col basto e una cagnolina, Sindy, giovane ragazza francese scesa a Roma per poi girare quattro anni tra Slovenia, Ungheria, Romania, i paesi balcanici. È tornata in Francia qualche mese fa. Restano molti e diversi i motivi che spingono a intraprendere viaggi così avventurosi. Ciò che però accomuna questo genere di pellegriniviaggiatori, è spesso la comune nazionalità: sono quasi tutti francesi o tedeschi.
Il pellegrino e le sue scarpe
La figura pellegrina, che sia jacopea (Santiago), palmiera (Terra Santa) o romea (Roma), è passata tra i millenni, spesso in controluce, fino all’inizio del secolo scorso, quando l’antico pellegrino era diventato quasi un ricordo. Questo fino agli anni ’70, con l’inaspettato risveglio del “Cammino delle Stelle” di Compostela, rispolverato da un lungimirante parroco che fece risorgere lo spirito del pellegrino moderno. Al punto che oggi, poco meno di mezzo milione di pellegrini raggiungono la tomba di San Giacomo in Galizia (Spagna) ogni anno. Fu l’abbrivio della rinascita di centinaia di altri cammini antichi e moderni nel resto del mondo, al punto da rischiare che oggi sia una “moda”, con tanto di psicologia pellegrina aperta ad ogni interpretazione. Oggi stiamo assistendo alla “rinascenza” dei cammini: non vi è città, provincia o regione che non promuova i suoi cammini. Che siano religiosi, storici o della memoria. Più complesso è invece comprendere il perché individuale e sociale del rimettersi in cammino. Per una ricerca mia personale che mi ha portato poi a creare “Camminamente”, la prima mostra sulle scarpe dei grandi camminatori, ho avuto il privilegio di avvicinare e conoscere il pensiero di decine di camminatori per sport o fede che hanno fatto l’impresa. Posso testimoniare che ognuno ha un motivo diverso che porta le loro scarpe alla meta. Meta che molto spesso è intesa come “anabasi”. Cercare per capire!