Bellezza come comunione con il Creato. Come abbandonare i criteri solo estetici per riassaporare le meraviglie della vita

La bellezza fine a se stessa non porta da nessuna parte, lo dicono i suoi stessi “sacerdoti”, e questo dovrebbe far pensare.

Bellezza come comunione con il Creato. Come abbandonare i criteri solo estetici per riassaporare le meraviglie della vita

Signore Dio, Uno e Trino,
comunità stupenda di amore infinito,
insegnaci a contemplarti
nella bellezza dell’universo
dove tutto ci parla di te.

La conclusione dell’Enciclica Laudato si’ di papa Francesco, una “Preghiera cristiana per il creato”, come recita proprio il titolo, ci aiuta ad entrare in un discorso arduo e pieno di contraddizioni che però accompagna l’uomo fin dalle sue lontane radici: la bellezza. Fiumi di inchiostro sono stati versati per definirla, fino ad arrivare alla seconda metà dell’Ottocento, quando è divenuta l’idolo al quale sacrificare tutto, vita compresa. Nel “Ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde, la sfida contro il corso naturale della vita, nel tentativo disperato di fermare il tempo (e proprio di fermare il tempo per godere un attimo di bellezza chiede Faust a Mefistofele, in cambio della propria anima, nella tragedia di Goethe) porta il protagonista ad uccidere e poi ad una raccapricciante morte.

In quello che è considerato il manifesto del decadentismo estetizzante, anche se da noi è poco letto, “Controcorrente” (altre volte tradotto “A ritroso” dall’originale “À Rebours”), Joris-Karl Huysmans narra la crisi di un uomo che cerca di vivere solo tra la bellezza e la raffinatezza, rischiando di impazzire. La bellezza fine a se stessa non porta da nessuna parte, lo dicono i suoi stessi “sacerdoti”, e questo dovrebbe far pensare. Il fatto è che stagioni di materialismo ci hanno indotto a vedere solo il lato fisico delle cose, per cui abbiamo messo su criteri di bellezza basati, dal Settecento in poi, su misure e schemi precisi. Dimenticando il fattore spirituale che è fondamentale. È soprattutto la nostra interiorità a dirci se una persona o una cosa sono belle, non una serie di misure perfette che costringono alla inevitabile resa fisica, con conseguente disperazione e in alcuni casi anche suicidi. Anche perché il canone del bello esteriore è cambiato nei secoli, percorrendo alternativamente le strade dell’abbondanza e della magrezza più assoluta.

Come scrisse l’allora cardinale Ratzinger nel suo messaggio di saluto al Meeting di Rimini del 2002, “la bellezza è una forma superiore di conoscenza in quanto colpisce l’uomo con tutta la grandezza della verità”. Questa forma superiore di conoscenza, per tornare alla natura di Laudato si’, è quanto di più lontano ci sia dalle raffinatezze estetiche o dal culto del corpo, perché è, o dovrebbe essere, semplicemente l’accettazione dei doni divini: la vita, fatta di altri esseri, di piante, di acqua e di terra. Già il fatto che l’uomo stia tragicamente minacciando questo equilibrio divino ci fa capire quanto poco si sia capito di bellezza. Non è un caso che l’Enciclica di cui abbiamo parlato prenda spunto da una delle opere della letteratura più lontane dalla stessa letteratura, intesa come forma esteriore: Il Cantico di frate Sole di san Francesco.

La bellezza del modello duecentesco sta proprio nella sua armonia tra dentro e fuori, tra cosa detta e immagine interiore. E ci fa capire che non si tratta più di misure perfette ma di sensazione interiore, radicata nel nostro stesso essere, di comunione con il tutto. Se ci riflettiamo bene, il nostro improvviso benessere durante la passeggiata in un bosco o in un prato in fiore, non sta in un fatto di proporzioni e misure. Il canto degli uccelli, il loro posarsi vicino a noi, il suono delle acque di un ruscello vicino, una notte stellata, conservano tutta la loro bellezza attraverso i secoli, e il Cantico non è che una commovente, spontanea – e per questo fuori dai limiti delle mode – testimonianza di comunione tra la nostra profondità e l’intero creato.

Marco Testi

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Fonte: Sir