"Black lives matter", neri contro neri: il razzismo che non ti aspetti

Dopo la morte di George Floyd anche in Africa ci sono state mobilitazioni e presidi. Ma nel continente africano e in Medio Oriente esiste un razzismo che non è riconducibile al cosiddetto “privilegio bianco”

"Black lives matter", neri contro neri: il razzismo che non ti aspetti

Qualche giorno fa Aminata Kida, imprenditrice e attivista di origine maliana che vive a Roma e ha la cittadinanza italiana ha pubblicato su Facebook un post che ha suscitato un acceso dibattito: “Secondo me è giunto il momento che anche in Africa si scenda in piazza contro il razzismo dei neri contro i neri! Basta guerre etniche! Basta impedimento di matrimoni solo perché uno viene da un etnia diversa!”. Nei giorni delle manifestazioni seguite alla morte di Georges Floyd, riunite sotto l’hashtag #BlackLivesMatter che hanno coinvolto milioni di persone in tutto il mondo, un articolo di Stefania Ragusa pubblicato sulla Rivista Africa mette l’accento su un razzismo di cui si parla poco, un razzismo che non può essere interpretato attraverso la griglia concettuale del cosiddetto “privilegio bianco”.

Dopo la morte di Floyd anche in Africa ci sono state mobilitazioni e presidi e si è sviluppato una riflessione allargata sul razzismo.

Maryam Abu Khaled, attrice palestinese dalla pelle nera, ha pubblicato su Instagram un video in cui denuncia come in Medio Oriente i neri non vengano uccisi dalla polizia ma patiscano comunque una drammatica e costante discriminazione razziale.

Il razzismo contro i neri nell’Africa del Nord e in Medio Oriente è un problema annoso che si intreccia con varie forme di vessazione e violenza. Sappiamo cosa accade in Libia. In Mauritania la schiavitù è stata formalmente abolita ma continua a essere praticata e ai danni dei neri. Mentre in altri Paesi come  Libano e Arabia Saudita i maltrattamenti inflitti ai lavoratori domestici, molto spesso neri, rappresentano la norma.

Sono questioni su cui i governi preferiscono glissare. Come dimostra il caso di 

, lo spot di denuncia realizzato dalla fotografa marocchina Leila Aloui (rimasta uccisa nell’attentato di Ouagadougou, nel 2016) che, all’epoca, le televisioni di stato del suo paese si erano rifiutate di trasmettere.

Ma il razzismo di cui si parla meno è quello dei neri contro i neri. Africa ha pubblicato l’11 giugno scorso il video in cui l’attivista somala Najma Fiyasko Finnbogadòttir, denuncia il trattamento vergognoso riservato ai somali bantu nel suo Paese, discriminati per le loro caratteristiche fisiche. Una questione “rimossa” mentre si scendeva in piazza per Floyd.

Secondo Aminata Kida, “quando si tratta di denunciare il razzismo dei bianchi contro i neri ci si unisce, arrivando a includere nel segmento “nero” persone che nere non sono e che non si riconoscono come tali. 
Poi però si glissa sulle forme di esclusione e discriminazione che ci sono in Africa”. L’attivista maliana cita il caso dell’intolleranza crescente verso gli immigrati in Sudafrica, la schiavitù in Mauritania, lo scontro tra Dogon e Paul nel nord del Mali, il sistema delle caste che vieta i matrimoni tra determinati gruppi, gli scontro tribali, fino al genocidio dei Tutsi in Rwanda.

“È più facile combattere il razzismo dei bianchi contro i neri perché rappresenta qualcosa di esterno, prosegue Kida nell’articolo. - Rivolgere questo spirito critico all’interno richiede un grande sforzo. In molti casi vuol dire entrare in conflitto con le famiglie e gli anziani. Però se vogliamo essere coerenti e andare oltre gli slogan, è arrivato il momento di rompere il silenzio. Dobbiamo smettere di dire che è tutta colpa dell’Occidente, non per una questione di gentilezza, bensì per essere più efficaci nella risoluzione dei problemi. E il problema che abbiamo oggi in Africa non è Floyd ma lo scontro tribale”.

“Black Lives Matter? Allora perché ci sbianchiamo?”

La giornalista Stefania Ragusa riprende l’argomento in un altro articolo, partendo dalla domanda provocatoria di Yvonne Okwara, keniana, anchor woman di Citizen TvBisogna difendere la gente con la pelle nera. L’orgoglio nero è giusto e corretto. Ma allora perché le donne africane si sbiancano la pelle? Perché in Africa, la terra dei neri, si fa carriera solo se la pelle non è scura? “In queste settimane – sostiene la giornalista in un tweet – si parla di discriminazione. Ma dobbiamo anche riflettere sulla nostra cultura in questa parte del mondo […] Le ragazze e le donne dalla pelle scura sono trattate in modo diverso”.
Si tratta del “colorismo”, cioè dello sbiancarsi la pelle, un fenomeno che ha alimentato un’industria cosmetica che punta a modificare la colorazione naturale della cute rendendola meno scura.
Nel 2017, l’Organizzazione mondiale della Sanità ha pubblicato uno studio che dimostra come il 77% delle donne nigeriane si sbianchino la pelle, seguite dalle ragazze sudafricane, quelle senegalesi, togolesi e maliane.

Leggi tutto l’articolo su Africa Rivista.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)