Bologna, 22 senza dimora positivi al Covid: “L’housing first è la risposta”

Dopo la notizia di un gruppo di senza casa contagiati dal coronavirus all’interno della struttura del Piano Freddo Capannoncino, nel capoluogo emiliano si riapre il dibattito su un nuovo modello di accoglienza diffusa. Salmaso (Piazza Grande): “Il Covid ci ha dimostrato che la ghettizzazione della povertà non può più essere una soluzione”

Bologna, 22 senza dimora positivi al Covid: “L’housing first è la risposta”

 “I senza dimora non sono alieni, sono persone come noi e ci rappresentano: si ammalano come tutti, ma possono anche vivere in case come tutti”. Carlo Francesco Salmaso, presidente della cooperativa sociale Piazza Grande, commenta così la notizia dei 22 senza casa risultati positivi al Covid-19, tutti ospitati all’interno del Capannoncino, struttura del Piano Freddo gestita dalla stessa Piazza Grande. Dormivano in camerate, spazi complessi da gestire dal punto di vista delle disposizioni di sicurezza: due di loro hanno manifestato sintomi e, dopo aver disposto i tamponi, sono emersi anche gli altri 20 asintomatici. Ora sono stati tutti trasferiti tra la struttura di Villa Serena e un albergo messo a disposizione dal Comune, per trascorrere la quarantena in sicurezza.

Questa pandemia è uno spartiacque che ci obbliga a ripensare tutti gli ambiti della società, compresi i servizi per i senza dimora – commenta Salmaso –. Esistono modelli di accoglienza che, alla prova del coronavirus, resistono molto meglio. È finita la stagione delle grandi strutture, dove vengono collocate le persone povere separate dal resto della città: dobbiamo superare la ghettizzazione e puntare sull’accoglienza diffusa e dignitosa, come nei percorsi di housing fist”. 

Con l’housing first, la casa è la prima cosa che viene concessa: poi viene attivato un percorso ritagliato sulle esigenze della persona, che attraverso il supporto di professionisti viene accompagnata verso la conquista di una progressiva autonomia. “Bologna è molto avanti su questo: da anni portiamo avanti progetti di housing first per singoli e per famiglie, e abbiamo constatato che funziona – continua Salmaso –. Le spese non sono più alte di quelle sostenute da una grande struttura di accoglienza, mentre si abbassano nettamente i costi sociali conseguenti al tenere in un unico spazio tante persone che vivono in una situazione di disagio. Ecco perché l’housing first e le microstrutture sono i modelli del futuro: non solo per via del Covid, ma anche perché l’essere umano vive meglio così”.

In questo periodo di pandemia, i problemi legati al concentrare tante persone in un unico spazio diventano ancora più evidenti. E allora oggi come si comportano i servizi quando un senza dimora chiede di entrare in una struttura di accoglienza? “Sono stati attivati protocolli d’intesa con l’azienda sanitaria e l’Asp ha indicato linee guida per l’accesso – spiega Salmaso –. Non facciamo tamponi all’ingresso, anche perché di giorno le persone escono e sarebbe impossibile controllarle ogni volta. Comunque, i senza dimora hanno una responsabilità personale rispetto ai propri comportamenti, proprio come ogni adulto in questo momento”.

Dal primo giugno, con la fine del Piano Freddo, le procedure cambieranno e i servizi auspicano che si facciano sempre più tamponi, sia agli operatori che agli utenti. “Con i tamponi e i test sierologici che stiamo realizzando in modo massiccio su tutto il territorio regionale siamo riusciti a individuare e isolare una situazione circoscritta, che però poteva diventare critica – dichiara l’assessore regionale alla Sanità Raffaele Donini –. Al tempo stesso stanno emergendo nuovi casi asintomatici che difficilmente avremmo potuto rilevare con la strategia tradizionale. Questi 22 positivi sono stati scoperti grazie ai tamponi a tappeto effettuati all'interno della comunità ed è già stata avviata la mappatura per ricostruire i contatti avuti, benché si tratti di soggetti a bassissima socialità”.

I senza dimora, infatti, sono considerati persone piuttosto solitarie, e dunque per il momento non si temono conseguenze preoccupanti. “La questione della socialità è centrale per i senza dimora, così come per tutti noi – conclude Salmaso –. In questa fase di uscita dal lockdown, dobbiamo chiederci: come riconquistare uno spazio di relazioni, senza però mettere a rischio la nostra salute? È chiaro che la chiusura totale non può andare avanti in eterno, le conseguenze a livello psicologico sarebbero disastrose, anche per i senza dimora. E così dobbiamo trovare delle strategie per conciliare sicurezza e interazioni sociali, pensate per tutti i cittadini, incluse le persone senza dimora”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)