Circo Harryson: passione in famiglia da generazioni

La famiglia Giannuzzi da generazioni ha scelto di essere circense. Oggi gira l'Italia con il circo Harryson, mettendoci a ogni spettacolo tutta la volontà per regalare divertimento e sorrisi al proprio pubblico. «Si comincia da subito, proprio da appena nati, sempre in movimento e ricordo bene il riflesso dei lampeggianti che mia moglie mi faceva mentre mi seguiva, pure lei guidando. Era quello il modo per dirmi che era tempo di fare una sosta, di fermarci, che doveva allattare. L’importante per noi è avere chiaro l’itinerario della stagione, passo dopo passo le piazze dove dobbiamo andare».

Circo Harryson: passione in famiglia da generazioni

Mamme e bambini, pochi papà, qualche nonno. L’attesa dello spettacolo, il circo che ha piantato la tenda (letterale), musica e luci, dai, si comincia. E i protagonisti sono subito i bambini e le bambine, sono loro che davvero partecipano, coinvolti come sono. Come sempre.

A Bastia di Rovolon il circo Harryson della famiglia Giannuzzi ha piantato le tende (val la pena ripeterlo perché è proprio così) per una settimana. In piazzale Europa, vicino al cimitero, quel grande spazio che la domenica (giorno di mercato) da quelle parti diventa proprio “il” parcheggio, stracolmo di vetture. Prima Maserà e dopo Bastia, Limena e, fino al 4 novembre, Lerino nel Vicentino. E così via, di piazza in piazza, continuando quella loro vita vagabonda, dura stare fermi e in effetti proprio “i fermi” sono chiamati quelli che non fanno parte di questo loro mondo, dunque quelli che non si muovono, noi insomma. La famiglia Giannuzzi ora conduce perciò il circo Harryson, proseguendo una storia che ha radici lontane a partire già dall’Ottocento, con negli anni un intreccio continuo e tuttora in sviluppo di famiglie e di storie. Circhi che si sciolgono, circhi che si mettono assieme, matrimoni tra coppie di questa e quella famiglia di circensi, giocolieri, acrobati e artisti vari che trovano lavoro in questo o quel circo e così via. Il tutto contrassegnato da quella sorta di parola magica rappresentata dalla passione, anzi Passione, con la maiuscola. Quella cosa lì che continua a motivarli e a cui devono non poche volte pure aggrapparsi per tutte le difficoltà a cui devono andare incontro. Loro, che possono anche essere visti un po’ fuori del mondo, no?, specie di questi tempi…

Uno spettacolo ben fatto quello messo assieme sotto lo chapiteau dai Giannuzzi, con tutto tutto quello che uno si aspetta da un circo (i giocolieri, gli acrobati, gli illusionisti, gli animali e soprattutto… il clown), con tempi ben scanditi e buone idee.

Così l’incontro con uno di loro, Gianni, il maggiore dei tre fratelli Giannuzzi, a suo tempo in scena come clown Scarabocchio e artista a tutto tondo, dato che scrive poesie, pubblica libri e dipinge quadri. La moglie Gianna al suo fianco e quattro figli, tutti ora in New Jersey, ben dentro pure loro nel mondo circense. Lo incontro per provare un po’ a soffermarsi su questa loro esistenza fatta di viaggi, spettacoli, un impegno che, come lui dice, non può che essere totale, sempre lì a fronteggiare parecchi ostacoli, compresa a pieno titolo la burocrazia. Come detto, noi siamo così “i fermi” e subito Gianni riconosce che a suo tempo ci hanno pure provato a stare fermo: «Mio padre a fare il muratore, mio fratello che imbottigliava, io che mi occupavo di tende di ciniglia… ma è durato poco, non poteva essere quella la mia/nostra vita, no grazie».

Dunque una vita in viaggio, ancora e ancora. «Si comincia da subito, proprio da appena nati, sempre in movimento e ricordo bene il riflesso dei lampeggianti che mia moglie mi faceva mentre mi seguiva, pure lei guidando. Era quello il modo per dirmi che era tempo di fare una sosta, di fermarci, che doveva allattare. L’importante per noi è avere per chiaro l’itinerario della stagione, passo dopo passo le piazze dove dobbiamo andare. Di chilometri ne facciamo sui 7-8 mila l’anno, non che siano proprio tanti, ma non sono lunghi i nostri trasferimenti e con quel che costa il gasolio e tutto il resto, non è che possiamo fare in altro modo. Non è che siano lunghi i nostri trasferimenti, da paese a paese, però il tragitto per dire da Maserà a Bastia l’ho fatto più volte, ogni volta con un rimorchio diverso, avanti e indietro. Facciamo tutto noi, dalla richiesta dei permessi, ai manifesti, pensando anche a piazzarli in giro, montando e smontando tutto quanto. Una lotta continua ce l’abbiamo con la burocrazia, dai e dai tutto sta diventando ancor più difficile, quante le voci per cui dobbiamo pagare. Le carte per uno spettacolo le dobbiamo preparare e inviare mesi e mesi in anticipo, tutto si sta facendo sempre più complicato. Oltre alle carte e ai costi, non ci si deve dimenticare poi degli animalisti che ci contestano, arrivando a strapparci i manifesti, lì a volte con i loro figli piccoli che arrivano pure a sventolare dei cartelli con su scritto "Abbasso il circo"... dei bambini contro il circo, a me suona incredibile. Di animali ne abbiamo, ma giusto un piccolo coccodrillo, alcuni serpenti e tartarughe, più il nostro T-Rex (sorriso) che è quello che più attira e spaventa i bambini».

Gianni ci sa fare pure con la penna e tra spettacoli, viaggi e vita non da “fermo”, ha avuto modo di mettere assieme dei libri, anche di poesie. Quello che ha scritto da cui vuole prendere spunto per spiegare un po’ di più s’intitola Schiavi di una passione. «Non saprei come definirci se non così. Siamo schiavi perché non ce la facciamo a farne senza, è più forte di noi. L’attesa per entrare nella pista, quella adrenalina così speciale; i brividi degli applausi, l’odore della segatura, quel buio lì attorno a noi: non la vediamo la gente ma la sentiamo. Cercando di dare sempre il massimo, d’essere in quel momento protagonisti, non importa se non poche volte mi sia capitato di dover cercare di far ridere pur con la morte nel cuore o magari davanti a solo sette-otto persone. Eppure bastava e basta il sorriso di un bambino, un applauso convinto».

Una vita vagabonda, sconosciuta forse ai più e di certo a chi scrive, con figli che la scuola devono frequentarla in modo itinerante, di paese in paese, settimana dopo settimana, richieste, permessi e carte da bollo. «Ho ancora bene in testa il regalo di quella maestra a noi che ce ne andavamo via, quel pacco di quaderni, di penne, anche di cioccolatini, ma non è sempre così, certo che no, a volte ti fanno restare giusto ai margini, come tu non ci fossi e quante volte me l’hanno detto i miei figli, se poi non capitava pure di peggio, con del vero e proprio bullismo nei loro confronti».

«Non so, forse è pure colpa nostra, forse siamo anche noi che ci stiamo chiudendo, magari è giusto reciproco, certo che siamo ghettizzati, visti in un certo modo, messi lì, un po’ in un angolo. Come non vedere, dappertutto, quella “paura” per quel che non si conosce e basta vedere adesso quel che succede con i migranti. Non so dove sia andato a finire quel senso di comunità che prima comunque c’era e penso così a quanto sia diverso adesso da quand’ero bambino. Non posso non ricordare lì dalle mie parti di allora, in Puglia, le storie che gli emigranti che tornavano per Natale o Pasqua raccontavano dei paesi in cui erano andati a lavorare, di come le porte dei bar si chiudessero per non far entrare loro, gli italiani. Sì, allora eravamo noi gli emigranti...».

Un’ultima cosa, un’ultima immagine. Dentro il tendone è in scena lo spettacolo, si sente la musica, di tanto in tanto i bambini che strillano, gli applausi. Appena lì fuori ce ne sono altri due di bambini che stanno pulendo con cura e per bene un telo di plastica. A domandare, dicono che stanno preparando la loro di pista, che poi faranno lì sopra il loro spettacolo, con salti e capriole. Sono parte del circo, anche loro dei Giannuzzi, ancora troppo piccoli per debuttare. Giocano e si divertono, con impegno e serietà. Giocano e si stanno preparando. Chissà, in fondo già… schiavi di quella Passione? Penso alla ruota che gira, sì, come spesso diceva mia madre. Avanti.

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