Città e campagna di fronte al cambiamento climatico. La tropicalizzazione deve portare a rivedere i criteri per la produzione alimentare

Conciliare di più e meglio città e campagna, produzione industriale e produzione alimentare.

Città e campagna di fronte al cambiamento climatico. La tropicalizzazione deve portare a rivedere i criteri per la produzione alimentare

2020 anno più caldo di sempre. Non un dato statistico, ma qualcosa che ci colpisce da vicino. A partire dalla produzione di alimenti che, nonostante i grandi progressi della tecnica, rimane comunque sempre ancorata alla terra e, appunto, all’andamento climatico. Certo, il tema non è di quelle nuovissimi, ma deve comunque essere affrontato proprio perché la sua gravità si ripropone pressoché ogni giorno.

Il dato di base è che la Terra diventa più calda. Questi mesi, poi, pare siano stati quelli più caldi di sempre in Europa, almeno da quanto sono iniziate rilevazioni omogenee e costanti. La tendenza al surriscaldamento è evidente anche in Italia: il 2020 è già stato classificato come il quinto anno più caldo mai registrato dal 1800, con una temperatura di oltre un grado (+1,04 gradi) più elevata della media storica. Il calcolo arriva dai coltivatori diretti (sulla base dei dati Isac Cnr relativi ai primi undici mesi dell’anno), che sottolineano come la tendenza al riscaldamento sia ormai “strutturale” e dicono subito: “Gli effetti si sono già fatti sentire a livello globale e nazionale con il divampare degli incendi e una drastica riduzione dei ghiacciai”. Parole come “tropicalizzazione”, sono ormai entrate nel lessico di molti. A conti fatti (e solo fino ad oggi), secondo Coldiretti gli eventi estremi provocati da questo fenomeno pare siano costati oltre 14 miliardi di euro in dieci anni solo guardando alla produzione agricola. Senza dire, naturalmente, degli altri danni ad iniziare dalle perdite di vite umane.

La cronaca di questi giorni, d’altra parte, ci ha riportato più di un esempio. Sempre Coldiretti ha raccontato che l’ultima breve ondata di brutto tempo che ha attraversato la penisola ha cacciato sott’acqua le coltivazioni invernali di cavoli, finocchi, broccoli e patate nei terreni invasi dalle acque mentre in montagna è già scattato l’allarme valanghe, con aziende agricole ed allevamenti e animali ancora isolati dalla neve che è caduta senza sosta.

Ma c’è anche dell’altro. L’agricoltura e l’agroalimentare soffrono ormai costantemente di una erosione della loro base produttiva. Non si tratta solo di una perdita netta di possibilità di produrre alimenti, ma anche dell’abbandono di intere aree che, così, si ritrovano più sottoposte proprio agli effetti dei cambiamenti del clima. Guardando solo ad un’area limitata dello Stivale – il Piemonte -, Confagricoltura ha fatto rilevare come solo in un anno (il 2019), sia andata persa una superficie produttiva equivalente a 311 campi di calcio.
Ma questo punto che fare? Certo, occorre il lavoro concorde di tutti e a più livelli. Per questo, per esempio, è importante che il Consiglio europeo abbia sottoscritto un’intesa su un testo per la lotta ai cambiamenti climatici. Ed è ugualmente importante che la nuova amministrazione Usa abbia già dichiarato di voler tornare nell’ambito degli accordi mondiali sul clima. Ci sono comunque altre strategia che possono essere messe in pratica. Ad iniziare dall’applicazione rigorosa delle leggi (che ovviamente devono essere scritte in modo da poter essere usate con correttezza per il bene di tutti).

Poi c’è la visione del mondo che deve cambiare. E’ il caso di quanto proposto dalla Associazione italiana architetti paesaggisti (Aiapp), che nel corso di un convegno ha rilanciato il ruolo e l’utilità del paesaggio come risorsa da non perdere e, anzi, da sviluppare e curare. Tutto partendo dalle città. L’idea di Aiapp è quella che occorra iniziare dai centri urbani per rivedere la loro relazione con le aree rurali. Una proposta certo da discutere e approfondire a 20 anni tra l’altro dalla Convenzione europea del paesaggio. Non si tratta di un ritorno bucolico ai bei tempi passati, ma di qualcosa di molto più complesso e ardito: conciliare di più e meglio città e campagna, produzione industriale e produzione alimentare. Tutto, in fin dei conti, per stare meglio tutti.

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Fonte: Sir