Coltivare sulla luna. Una nuova ricerca sulla possibilità di far crescere piante sul suolo lunare

Pur avendo a disposizione "solo" 12 grammi di regolite (equivalenti a qualche cucchiaino da tè) i ricercatori sono riusciti a creare il loro piccolo giardino lunare.

Coltivare sulla luna. Una nuova ricerca sulla possibilità di far crescere piante sul suolo lunare

Tra tutti i corpi celesti del Sistema Solare, la Terra è attualmente il luogo più ospitale per le varie specie viventi che vi si sono sviluppate in quasi 5 miliardi di anni. Ciò, tuttavia, non impedisce che la sete di conoscenza, la curiosità e l’ingegno umani si alleino per spingersi alla ricerca di nuovi possibili luoghi da “abitare” nell’universo conosciuto. Notoriamente, l’unico suolo “alieno” finora calpestato dall’uomo è quello della Luna. Una conquista non di poco conto, che in futuro potrebbe risultare di fondamentale importanza per ulteriori missioni spaziali esplorative. A patto, naturalmente, di riuscire a creare sul satellite naturale della Terra le condizioni necessarie per poterlo trasformare in una sorta di “stazione intermedia” dove sostare lungamente in vista del raggiungimento di ulteriori mete planetarie ben più lontane.

In quest’ottica, risulta di enorme interesse il fatto che, dopo ben 11 anni di ostinate richieste, la NASA abbia finalmente messo a disposizione dell’Università della Florida un pugno di “regolite lunare”, ovvero di quel grigiastro strato di polvere, breccia e frammenti rocciosi che ricopre la Luna, formatosi in miliardi di anni dallo sgretolamento delle rocce superficiali causato dallo schianto di micrometeoriti. Per farne cosa? Verificare, ad esempio, se è possibile farvi crescere delle piante.

Ci hanno pensato i biologi molecolari Anna-Lisa Paul e Robert Ferl, insieme al geologo Stephen Elardo, riuscendo a creare nella “terra” della Luna a loro disposizione un vero e proprio “piccolo vivaio”, seppur con l’evidenza che le piante crescono in essa lentamente e “sotto stress” (come emerso dall’analisi genetica).

La scoperta (pubblicata su “Communications Biology”) è stata accolta con grande favore dalla stessa NASA, che con il suo programma “Artemis” progetta di portare la prima donna e altri uomini sulla Luna entro il 2024, per costruire una base lunare permanente. “È molto probabile – spiega Robert Ferl – che per le prossime missioni spaziali di lunga durata useremo la Luna come hub o piattaforma di lancio, perciò sarebbe sensato usare una risorsa locale, il suolo lunare appunto, per far crescere le piante.”

I vantaggi di far riuscire a far crescere delle piante sul suolo lunare sono evidenti: oltre a produrre cibo a Km 0, esse fornirebbero ossigeno, riciclerebbero acqua, ripulirebbero dall’anidride carbonica l’aria dentro gli edifici. L’unica alternativa fino a oggi disponibile per un’agricoltura “extraterrestre” era la possibilità di avviare coltivazioni “idroponiche”, fatte crescere senza terra, in substrati inerti (per esempio l’argilla) che gli astronauti potevano portare con sé nei loro viaggi.

I tre ricercatori dell’Università della Florida, invece, si sono spinti oltre e, pur avendo a disposizione “solo” 12 grammi di regolite (equivalenti a qualche cucchiaino da tè) sono riusciti a creare il loro piccolo giardino lunare, dove hanno piantato semi di arabetta comune (Arabidopsis thaliana) in mini-vasi riempiti con quasi un grammo di suolo lunare, che hanno poi curato con acqua e nutrienti. Oltre a registrare la crescita dei semi nei diversi campioni di regolite, i tre ricercatori hanno potuto metterla a confronto con quella di piante di arabetta germogliate in ceneri vulcaniche terrestri (simili per composizione al suolo lunare).

La prima sorpresa è stata la constatazione che tutti i semi piantati nella regolite sono germogliati: “Non ce lo aspettavamo – commenta Paul – questo significa che il suolo lunare non interferisce con l’attività degli ormoni e le vie di segnalazione della germinazione”. Poi l’osservazione che, rispetto alle piante cresciute nella cenere, quelle “lunari” sono state più lente a far crescere le foglie che, per altro, sono risultate mediamente più piccole e, in parte, depigmentate. L’analisi genetica effettuata sulle cellule di foglie e steli, a 20 giorni dalla germinazione, ha confermato tutti questi segni di “stress” delle neo-piantine. Naturalmente, la ricerca proseguirà per provare a superare questi ostacoli, anche con l’ausilio dell’ingegneria genetica, per capire in che modo la maturità della regolite influisce sullo sviluppo vegetale e comprendere come migliorare le caratteristiche del suolo per garantire ai futuri giardinieri lunari una terra buona da coltivare. “Spero che questi risultati – conclude Ferl – incoraggino la NASA a ‘sacrificare’ altra regolite per poter effettuare esperimenti con nuove specie vegetali. Visto il poco suolo che abbiamo a disposizione, noi continueremo con l’arabetta, pianteremo e faremo crescere nuove generazioni”.

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Fonte: Sir