Coronavirus Covid-19. Vicari (neuropsichiatra): “Senza scuola sono i ragazzi più fragili a pagare il prezzo più alto”

Tra gli effetti del Covid-19 su bambini e adolescenti c'è la chiusura delle scuole, ma per i ragazzi con disturbi del comportamento o disabilità intellettive, al confinamento fra le pareti domestiche si è aggiunta anche la sospensione delle terapie e la mancanza dei centri diurni. Pesanti le conseguenze psicologiche e relazionali. Per il neuropsichiatra Stefano Vicari non c'è stata ad oggi sufficiente attenzione nei loro confronti. Importante ripartire dalla scuola, ma per alcuni non sarà facile rimettersi in gioco

Coronavirus Covid-19. Vicari (neuropsichiatra): “Senza scuola sono i ragazzi più fragili a pagare il prezzo più alto”

Niente corse a perdifiato mangiando l’aria, niente scuola, niente amici e niente nonni. E’ davvero alto il prezzo pagato per due mesi al lockdown dai nostri bambini e adolescenti. E lo è ancor più quello pagato dai bambini con dislessia, iperattività, autismo, disturbi del comportamento o disabilità intellettive. Per loro, alla chiusura delle scuole si è aggiunta l’interruzione delle terapie di riabilitazione. Quali saranno, nel lungo periodo, gli effetti psicologici e relazionali di questo isolamento, soprattutto sui più fragili? “Secondo le proiezioni, assisteremo nel prossimo futuro ad un aumento dei disturbi mentali – spiega al Sir Stefano Vicari, responsabile Unità operativa complessa di neuropsichiatria infantile dell Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma -. Per quanto riguarda noi, potremmo valutare solo a distanza di tempo gli effetti del lockdown, anche perché non siamo certi di quando finirà, ma stiamo iniziando a vedere, soprattutto negli adolescenti, un aumento di ansia e di depressione”.

Lo psichiatra rilancia l’esortazione dell’Oms ad investire sulla salute mentale, soprattutto nei minori:

“Oggi, almeno il 10% dei bambini e una percentuale tra il 16 e il 20% degli adolescenti ha un disturbo mentale.

Del resto il suicidio costituisce la seconda causa di morte sotto i 20 anni. Ansia, depressione, episodi psicotici, ma anche disturbi del neurosviluppo come autismo, disturbo da deficit dell’attenzione, dislessia, ritardo mentale riguardano una fetta di almeno il 10% dei bambini”. E per questi ragazzi con “bisogni speciali” l’isolamento rappresenta, oltre alla chiusura della scuola, anche l’interruzione delle terapie “con la conseguenza di regressioni nelle acquisizioni raggiunte”. Vicari riferisce di telefonate di “genitori preoccupati perché i loro figli, sospeso il trattamento, mostrano maggiori difficoltà di gestione dei propri comportamenti a volte disfunzionali”.

Di qui l’impegno per “formare i genitori a distanza insegnando loro a gestire le difficoltà dei figli e a proporre loro attività per aiutarli a non perdere le competenze acquisite”. 

I centri diurni territoriali, attualmente chiusi, “sono stati incoraggiati a promuovere trattamenti a distanza, oppure a favorire quelli a domicilio. In alcuni casi questo si è verificato, ma mi sembra sia soprattutto legato alla buona volontà del singolo operatore”.

“Mi stupisce – chiosa lo psichiatra senza giri di parole – la scarsa attenzione nei confronti di bambini e adolescenti, soprattutto di quelli con difficoltà, da parte di chi ha avuto la responsabilità di guidarci in questo periodo di emergenza”.

Secondo Vicari, non si è riflettuto abbastanza sull’impatto del prolungamento della chiusura della scuola fino a settembre. “La scuola – spiega – non è solo un parcheggio per consentire ai genitori di tornare a lavorare, e nemmeno un luogo per fornire competenze agli alunni e insegnare loro un mestiere. E’ un’agenzia educativa tra le più potenti che abbiamo:

se manca la scuola, i bambini e i ragazzi sono più esposti alle loro fragilità

perché viene meno un contenitore emotivo importante e un ammortizzatore di tensioni come quello costituito dalla relazione con i pari”.

Quanto alla didattica a distanza, “risponde unicamente alla necessità di fornire competenze; limitare la scuola a questo è un autogol”, afferma lo specialista sottolineando l’acuirsi della disparità tra famiglie in grado di seguire i figli, e nuclei “meno attrezzati culturalmente” e spesso privi di dispositivi digitali e connessioni veloci. “Almeno 1 milione e mezzo di studenti ne è tagliato fuori”, sostiene auspicando che le misure previste dal Decreto Rilancio, dopo i primi fondi messi nelle scorse settimane a disposizione delle scuole, possano colmare almeno in parte questa lacuna, soprattutto negli istituti di periferia che ne sono i più colpiti.

Ma il problema è ancora più grave per i bimbi con difficoltà o disabilità confinati a casa: per loro “tutta l’attività didattica viene delegata ai genitori che spesso non hanno strumenti, capacità o tempo per svolgerla”.

Lo psichiatra ritorna sul rinvio della riapertura a settembre. Superata la fase emergenziale, “ora che i dati sui contagi sono abbastanza rassicuranti, soprattutto nelle regioni meno a rischio ed escludendo quelle più ‘calde’ si poteva fare in modo che almeno un paio di ore al giorno, magari a turno o pensando a delle soluzioni all’aperto, i bambini potessero frequentare la scuola per mantenere le relazioni con i coetanei, fondamentali per il loro benessere psicologico. In Basilicata, ad esempio, che non registra contagi da parecchi giorni, perché non è stata data la possibilità ai ragazzi di tornare in classe?”.

Di qui l’auspicio che a settembre la scuola “sia pronta a ricominciare tenendo conto anche delle necessità dei più deboli. Intanto sarebbe bene utilizzare questi mesi per rendere i nostri istituti più sicuri e più belli e iniziare a programmaremagari una frequenza a turni”.

Vicari non si nasconde che per i ragazzi più fragili non sarà semplice il ritorno alla “normalità”. “Alcuni adolescenti si stanno chiudendo sempre più e stanno vivendo con preoccupazione il momento in cui dovranno tornare a confrontarsi con gli altri”.

Rimane inoltre il “buco” dell’estate, periodo problematico per chi ha figli con disabilità: “Si potrebbe pensare all’assistenza domiciliare o a centri estivi in cui l’attività venga svolta prevalentemente all’aperto, con numeri limitati dei bambini e senza rischi di assembramento. Personale e educatori non mancano – conclude -. L’importante è porsi il problema”.

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Fonte: Sir