Coronavirus. Amazzonia, dove il potere decide chi vive e chi no. Il dramma nelle voci dei missionari

Covid-19. Dalle voci dei missionari, il dramma della popolazione del Roraima e di Manaus, dove neri e indigeni muoiono molto più dei bianchi. Esplodono autoritarismo, agro business e industria mineraria illegale

Coronavirus. Amazzonia, dove il potere decide chi vive e chi no. Il dramma nelle voci dei missionari

A forza di ripeterle certe parole hanno un po’ perso il loro significato. Ma la situazione legata all’emergenza Covid in Brasile, e in particolare nella martoriata Amazzonia dove operano i missionari della Diocesi di Padova è drammatica. Drammatica per i morti; drammatica per le popolazioni indigene lasciate in balìa degli effetti della pericolosa “variante brasiliana”, originatasi a Manaus; drammatica per l’indifferenza – e la complicità attiva – del governo Bolsonaro.

Don Luigi Turatofidei donum padovano a Caracaraì, denuncia: «La situazione è complicata – conferma – ci sono sì molte contaminazioni, ma non è facile avere i dati esatti perché mancano i test. I test si fanno solo quando ci sono sintomi abbastanza chiari. La popolazione nel frattempo cerca di stare attenta e intanto si cura con miele, zenzero, limone ed erbe».

Il lockdown, però, non c’è: «Il nostro vescovo, a gennaio, ci ha chiesto di sospendere le celebrazioni fino al 12 marzo. Le autorità civili ci chiederebbero una minore affluenza e l’uso della mascherina, ma la situazione difficile degli ospedali in Roraima ha spinto il vescovo a una linea più decisa». Già, gli ospedali: «Non c’è più posto – continua don Luigi – La gente attende in fila per giorni per farsi ricoverare. E noi, che siamo più vicini a Manaus e all’Amazzonia, viviamo una situazione ancora peggiore per le mutazioni, per cui bisognerà trovare nuovi modi per affrontare il virus». Con le mutazioni l’emergenza dei primi mesi, concentrata nei grandi centri, oggi colpisce anche allo stesso modo le comunità interne, tra piantagioni e campagne.

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Pochi vaccini e niente lockdown

La campagna di vaccinazioni prosegue a rilento. Forse non a caso: «Uno studio dell’università di São Paulo, pubblicato da El Pais, suggerisce che vi sia persino la volontà del Governo di lasciar morire le persone più in difficoltà, tra cui gli anziani, per un disegno economico». Lo studio, che in effetti ha avuto grande impatto mediatico anche in Italia, non ha però fatto arretrare di un centimetro il Governo Bolsonaro dai suoi disegni. E nemmeno le autorità locali cambiano le loro priorità: «Lo stato di Roraima ha deciso di cominciare a estrarre l’oro. Una pratica illegale secondo il Supremo tribunale federale. Eppure, per loro l’Amazzonia è solo una grande riserva da sfruttare. Ci sentiamo in lotta con le nostre popolazioni, dato che ci sono diversi modi di pensare lo sviluppo».

Don Lucio Nicoletto, anche lui missionario padovano, dall’agosto 2019 è vicario generale della diocesi di Roraima. «Limitiamo i contatti ai mezzi di comunicazione sociale, anche nella precarietà, perché la situazione da noi è purtroppo molto grave. I morti sono tanti, ogni giorno, e per di più temiamo l’effetto domino della variante che arriva da Manaus». Per di più, in queste settimane le frontiere con il Venezuela, ufficialmente chiuse, sono di fatto aperte: «La gente ci manda le foto di queste frotte di persone che arrivano. La polizia federale è chiusa, e non sappiamo come reagirà». Nessun lockdown: «Dall’inizio della seconda ondata, nel mese di settembre, non c’è stato nessun tipo di proibizione. A livello locale c’erano stati 15 giorni di chiusura, ma le pressioni dei commercianti e delle chiese evangeliche hanno spinto il sindaco a riaprire. Noi non abbiamo riaperto».

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Il "bolsonarismo" toglie voce agli ultimi

Il dramma, da sanitario, ora è anche economico: «La crisi era già forte prima della pandemia, adesso la necessità di pane e alimenti è se possibile ancora più forte. Il governo sta pensando ad aiuti di emergenza, ma sembra che le scelte siano più a vantaggio delle grandi imprese. L’aiuto che si sta dando ora verrà pagato a caro prezzo quando ci sarà la ripresa, per cui già si stanno generando nuovi e forti conflitti sociali: del resto, è un governo molto “populista” a parole ma che favorisce solo le élite, i grandi latifondisti». L’Amazzonia continua ad essere la grande martire: «Le conseguenze si traducono in deforestazione e attività minerarie intensive che distruggono sia l’ecosistema che la vita delle popolazioni indigene locali». E di fronte a tutto questo, c’è il rischio che questo pensiero apertamente anticristiano entri nella Chiesa stessa: «Il problema non è Bolsonaro, ma il bolsonarismo, cioè la cultura della violenza, dell’arroganza e dell’estremizzazione che entra nella gente e anche nella gente di Chiesa, favorendo i gruppi tradizionalisti, conservatori e rigidi, che vogliono cancellare la sensibilità sociale e mettere a tacere chi dentro le chiese parla di diritti umani e di cura verso i più fragili».

L’inquinamento insomma va sconfitto a partire da dentro: «Le basi della nostra speranza oltre la pandemia devono partire dal rifiuto della polarizzazione e della violenza. È solo con il dialogo e l’ascolto che potremo costruire qualcosa, recuperando la fratellanza».

Le "pandemie" nella pandemia

Padre Dario Bossi, comboniano, in Brasile da quindici anni, si trova a São Paulo per coordinare le comunità comboniane in Brasile, ma per dieci anni ha vissuto in Amazzonia, nel Maranhão. «Prima della pandemia la mia vita era viaggiare di continuo nelle 16 comunità sparse in Brasile. Oggi sono bloccato, e ho dovuto ripensare al mio tipo di relazione con i fratelli». Padre Bossi ricorda i primi mesi: «Ciò che ha fatto la differenza è stata la posizione dei nostri governanti, che hanno banalizzato e persino negato l’emergenza. E adesso ci troviamo di fronte a una beneficienza opportunista che si è appropriata di povertà e miseria per comprare con benefici momentanei l’opinione pubblica». La morte è divenuta di casa: «Abbiamo perso molti amici, molti leader delle popolazioni indigene e tre padri comboniani, ma in Brasile le vittime arrivano a 250 mila. Gli indigeni ci dicono però che la pandemia del virus e della sua variante di Manaus ha evidenziato altre pandemie: la pandemia dell’estrattivismo, dell’agro business, della crisi climatica, dell’autoritarismo e della criminalizzazione delle comunità indigene». È l’anima di un intero Paese la grande malata: «La divisione è sempre più forte. E mentre risale il fondamentalismo religioso al servizio degli interessi politici, gli stessi atteggiamenti sociali di alcuni mostrano totale mancanza di rispetto degli altri». Il virus ha accresciuto le differenze sociali ed etniche: «Secondo uno studio su cento bianchi, in terapia intensiva, ne muoiono 28. Di 100 neri ne muoiono 36, mentre di 100 indigeni addirittura 48. I vescovi, nel loro messaggio per la Quaresima, hanno spiegato come la posizione del Governo sia “necropolitica”. Invece di ridurre le disuguaglianze, il potere decide chi vive e chi muore. La mancata assistenza sanitaria agli indigeni è un caso emblematico».

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Elis Dias, della Caritas di Roraima, mostra intanto il volto di una Chiesa impegnata a lavare i piedi di un’umanità che soffre, specie degli ultimi delle comunità indigene: «La solidarietà è un segno di speranza. L’assenza dello Stato, con la mancanza delle bombole di ossigeno negli ospedali, è stata compensata dalla società civile. C’è stata solidarietà in tutto, nel dolore dell’altro, nell’acquisto di una bombola per una persona anziana a casa da sola, solidarietà verso i professionisti sanitari. C’è una stanchezza profonda, ma è la solidarietà che ci fa respirare profondamente in un terreno arido che ci parla di dolore, di morte e di mancanza di politiche pubbliche». Se «la politica mira allo sfruttamento dell’Amazzonia e alla banalizzazione delle persone che qui vivono», bisogna tornare a parlare di nuovo di “casa comune”: «L’Eucarestia è il banchetto al quale siamo tutti invitati e bisogna fare spazio per tutti».

Padre Corrado Dalmonego, missionario della Consolata originario della diocesi di Mantova, ha passato quasi tutto l’anno del Covid nella sua missione tra gli indigeni Yanomami del Roraima: «I numeri dei morti – racconta – sono almeno il doppio rispetto a quelli riportati dagli organi ufficiali. Ma si sono aggravati enormemente anche i numeri della malaria». Di fronte a questi sconvolgimenti, padre Corrado e un’altra religiosa sono rimasti in Amazzonia: «Abbiamo deciso di rimanere per evitare possibili contagi, non tanto per noi quanto per le comunità indigene. Poi però il Coronavirus ha trovato i suoi modi per arrivare da noi». In una parola, i garimpeiros, i ricercatori d’oro illegali. «Nel 2020 si è molto accentuata la loro presenza. Il rumore continuo, tutta la notte, della ricerca mineraria lungo il fiume con enormi macchinari ha risvegliato sentimenti di sconforto e di rabbia. Le imprese minerarie distribuiscono armi e alcol e creano squilibri sociali. Il sostegno del governo ha dato loro forza». E così il virus ha iniziato a colpire anche qui: «Le nostre preghiere sono state ascoltate – conclude padre Corrado – dato che non abbiamo avuto lo stesso impatto pandemico di altre zone».

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La pandemia portata dai cercatori d'oro fuori legge

Gli indigeni, in Brasile, sono tra i più colpiti dal contagio del Covid: «Questo dipende sia dall’assistenza sanitaria – spiega padre Corrado Dalmonego – sia dalle difese immunitarie. I popoli più colpiti sono quelli a est, nel Roraima». Padre Corrado si trova invece a ovest, in una missione tra gli Yanomami stabilita nel 1965. Gli Yanomami sono circa 26 mila in tutto. A portare loro la pandemia sono stati i garimpeiros, i ricercatori d’oro illegali, in un quadro ulteriormente complicato dalla recrudescenza della malaria e ai tagli pesanti al sistema sanitario locale, tagli voluti dal governo centrale e acuiti dalle scelte del presidente Bolsonaro.

Un tempo di Apocalisse, per riportare la Chiesa alle radici

«È cambiato tutto. Sapremo l’impatto di questo cambiamento solo tra dieci o quindici anni». Don Lucio Nicoletto vede nel Covid un momento di svolta, a prescindere, che permette anche alla Chiesa di tornare alle radici più intime della sua ragion d’essere: «Mi azzardo a dire che non sento ciò che stiamo vivendo come una disgrazia, ma come un’Apocalisse, cioè la rivelazione di ciò che lo Spirito ci voleva dire ma che non abbiamo mai voluto ascoltare». In ascolto. «Come prete e come cristiano, sono chiamato all’ascolto nel silenzio, un silenzio che diventa un must, un luogo dove riscoprire i fondamenti della mia esistenza per trovarvi le parole in grado davvero di “marchiare a fuoco” la vita delle persone, per trovare la capacità di vedere che cosa il Signore stia scrivendo nel mio cuore attraverso anche questo tempo».

La comunità internazionale: con i popoli o con Bolsonaro

Una situazione compromessa. Un aumento di incendi, deforestazione ed estrazione mineraria proprio mentre il virus mieteva più vittime. Ma proprio qui, può nascere, per l’Amazzonia, una ragione di speranza. Padre Dario Bossi spiega la grande tenacia dei popoli indigeni: «Non si può non partire dall’autodeterminazione dei popoli, della capacità dei popoli indigeni e delle comunità afro discendenti che vivono lungo i fiumi di avere cura di loro stessi, all’interno di spazi di autoprotezione e autodeterminazione. Questi popoli si sono autonominati “guardiani della foresta”, denunciando il fatto che lo Stato non è capace di proteggere loro e la foresta, ma anche rivendicando il diritto, l’autorità e il dovere di essere loro stessi i protettori dello spazio naturale». Serve però la mano tesa della comunità internazionale: «Da che parte stiamo? Dell’Amazzonia o di Bolsonaro?».

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