Covid, "nelle Rsa operatori perseguitati per aver denunciato lacune nell'assistenza"

Rapporto di Amnesty International che ha raccolto la testimonianza di 34 lavoratori, sottoposti a intimidazioni, procedimenti disciplinari o licenziati per aver segnalato condizioni di lavoro insicure durante la pandemia. Chiesta l'istituzione di una commissione d'inchiesta parlamentare

Covid, "nelle Rsa operatori perseguitati per aver denunciato lacune nell'assistenza"

In Italia, ma in particolare a Milano e in Lombardia, operatrici e operatori sanitari e sociosanitari impiegati nelle strutture residenziali per anziani, che avevano segnalato le precarie e insicure condizioni di lavoro durante la pandemia da Covid-19, sono stati sottoposti a procedimenti disciplinari iniqui e sono andati incontro a ritorsioni da parte dei datori di lavoro. È quello che emerge da una ricerca di Amnesty International, pubblicata oggi, che chiede anche l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta su quanto avvenuto nelle Rsa. “Operatrici e operatori sanitari e sociosanitari delle strutture residenziali sono stati in prima linea nella lotta contro la pandemia da Covid-19 e sono stati elogiati dal governo italiano per il duro lavoro svolto in condizioni terribili. Tuttavia, queste stesse persone sono state ridotte al silenzio dai loro datori di lavoro quando hanno cercato di esprimere preoccupazione sul trattamento degli ospiti anziani e sulla propria sicurezza”, dichiara Marco Perolini, ricercatore di Amnesty International sull’Europa occidentale.

“Le autorità italiane devono assicurare che le voci di queste lavoratrici e di questi lavoratori siano ascoltate”, sottolinea in un comunicato Amnesty International, che chiede pertanto al Parlamento di istituire una commissione indipendente d’inchiesta che si concentri in particolare sulla situazione delle strutture residenziali. “È fondamentale che il parlamento italiano istituisca una commissione indipendente d’inchiesta in modo da apprendere dalle lezioni del passato, prevenire errori come quelli commessi in precedenza e assicurare giustizia per tutte le morti che potevano essere evitate e a coloro che sono stati ingiustamente sottoposti a ritorsioni”, spiega Debora Del Pistoia, ricercatrice di Amnesty International Italia.

Per condurre la sua ricerca, tra febbraio e agosto del 2021 Amnesty International ha parlato con 34 operatori in servizio nelle strutture residenziali durante la pandemia da Covid-19, con avvocati, esperti del settore e sindacalisti. “Ne è emerso un quadro di un settore ad alta presenza femminile (circa l’85 per cento del totale) e sotto alta pressione a causa della mancanza di personale, degli stipendi bassi e delle pericolose condizioni di lavoro: il tutto, nel contesto della peggiore pandemia degli ultimi 100 anni”, sottolinea Amnesty. La pandemia ha colpito duramente il personale delle strutture residenziali. Secondo dati ufficiali, il 65.6 per cento dei lavoratori e delle lavoratrici che hanno contratto il Covid-19 in Italia, nonché quasi un quarto dei deceduti, erano all’interno di tali strutture.

“Un terzo delle persone intervistate da Amnesty International durante la sua ricerca ha denunciato un clima di paura e di ritorsioni sul posto di lavoro -si legge nella ricerca-. Gli avvocati hanno riferito oltre dieci casi di procedimenti disciplinari e di licenziamenti, riguardanti anche rappresentanti sindacali che avevano denunciato la mancanza di adeguate misure sanitarie e di sicurezza in varie strutture residenziali sia pubbliche che private”. Dalle interviste anonime pubblicate (c'è solo il nome di battesimo), si tratta soprattutto di operatori che lavoravano in strutture di Milano.

E infatti, nel maggio 2021 proprio il Tribunale del lavoro di Milano ha stabilito che Hamala, operatore sociosanitario che lavorava con contratto in outsourcing in una delle principali strutture residenziali del capoluogo lombardo, era stato licenziato ingiustamente un anno prima dalla cooperativa per la quale lavorava. La sentenza ha ordinato il reintegro di Hamala e il versamento di un’indennità, e ha sottolineato che informare le autorità giudiziarie delle irregolarità fosse una questione di interesse pubblico, perché avrebbe potuto evitare la morte delle persone anziane residenti nelle strutture.

“Silvia”, infermiera con contratto diretto in una struttura pubblica di Milano, ha raccontato ad Amnesty International: “Ultimamente ci sono state varie ritorsioni e siamo tutti in massima allerta. Ci avevano detto di non usare le mascherine per non creare panico a utenti e famiglie, ma eravamo già in pieno Covid, verso fine febbraio o inizio marzo 2020. Ci siamo ribellati e abbiamo fatto denuncia contro la persona che ci ha ammonito di non usare le mascherine. Io sono stata messa in quarantena preventiva per motivi politici e al rientro ho dovuto fare il tampone”.

Marco, un altro operatore sociosanitario che lavora in una struttura residenziale privata, ha dichiarato: “Le cooperative e le strutture residenziali pubbliche hanno messo la museruola alle persone che hanno denunciato o parlato con la stampa”.

“Se la campagna vaccinale, che ha dato priorità alle persone all’interno delle strutture residenziali, al personale sanitario e sociosanitario, ha ridotto la morbilità e la mortalità tra gli anziani e tra coloro che operano all’interno di tali strutture -ricorda Amnesty International-, i problemi che affliggono da tempo questo settore (salari bassi, impiego prevalentemente femminile, condizioni di lavoro precarie) rimangono irrisolti”.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)