D di dialogo. Verità, meta condivisa

Siamo più preoccupati, a volte, di convincere invece che aiutare l'altro a comprendere

D di dialogo. Verità, meta condivisa

Non ho mai incontrato Michele Russi, ma ho letto con interesse la lettera che ha scritto alla Difesa il 14 ottobre 2018, dal significativo titolo: "Tante inutili risse, e non si capisce nulla". Come non condividere la sua riflessione riguardo quelle interminabili “tavole rotonde” su temi politici o sociali, in cui gli interlocutori si «parlano addosso, le parole dell’altro vengono coperte dalle proprie… In certi momenti il dibattito si trasforma in rissa verbale, in scene di cattiva educazione scolastica»? Mi permetto di rilanciare la provocazione del nostro caro lettore: perché non si riesce a dialogare in modo pacato e sereno – come persone adulte – su temi così importanti?

Tre miei piccoli parrocchiani stavano litigando, tutti e tre pretendevano di avere ragione. Le loro grida erano così forti che sono arrivate fino in canonica. A questo punto sono dovuto intervenire per cercare di redimere la diatriba. Cercando di capire quale fosse la questione che infervorava i loro animi, mi sono reso conto che effettivamente tutti e tre avevano ragione. A questo punto mi sono posto il problema di come far comprendere a questi bambini che la verità non è prerogativa di uno o dell’altro, magari del più forte, ma un cammino che va percorso insieme.

tre-prospettive

"Tre prospettive, una realtà", illustrazione di Gloria Bissacco.

Guardando la facciata della chiesa mi è venuta un’intuizione. Ho chiesto loro di posizionarsi nei tre lati della stessa: uno lateralmente, uno davanti alla facciata e uno nella parte posteriore, l’abside. Li ho poi invitati a memorizzare bene ciò che vedevano. Dopo alcuni minuti, li ho richiamati e ho chiesto di disegnare su tre fogli quello che avevano visto. Terminato il lavoro, ho accostato i disegni e ho chiesto: chi di voi ha disegnato la chiesa di Ronchi? 
Come si può immaginare, i volti dei miei piccoli amici erano un po’ perplessi, finché il più intraprendente se n’è uscito dicendo: «Ma don, tutti e tre i disegni rappresentano la chiesa, ma da tre prospettive diverse».

Il motivo per cui litigavano nasceva dal fatto che ognuno di loro voleva imporre il suo punto di vista all’altro. Il gioco li ha aiutati a capire che il miglior modo per dialogare su di un tema non è urlare e sbraitare, ma accompagnare il proprio interlocutore a guardare il mondo da una prospettiva differente: la mia, che non è né la migliore, né la peggiore, ma è solo la mia. 
Affrontare un tema, un argomento, un problema da varie prospettive non è un impoverimento del dibattito, ma piuttosto un arricchimento: aiuta a comprendere meglio la questione in gioco. La verità è una meta, un traguardo che si raggiunge camminandoci accanto, insieme anche al nostro avversario politico e non solo, per aiutarlo a guardare la “chiesa” da una prospettiva, forse, per lui inedita.

Ognuno di noi ha una storia alle spalle, delle esperienze, delle gioie e dei dolori. Inoltre, c’è chi affronta un problema politico da destra, da sinistra o dal centro… quando c’erano ancora queste categorie; ma se si ha a cuore il bene comune, queste posizioni illuminano il problema che si sta affrontando, per trovare insieme delle possibili soluzioni.

Alzare la voce, imporsi, parlarsi addosso senza avere la pazienza di ascoltare è segno di debolezza; segno di chi non ha la minima idea di che cosa siano la verità, l’educazione e la cortesia. Chi sbraita, spesso, non conosce nemmeno qual è il problema di cui si sta discutendo. L’impressione è che l’unica preoccupazione di questa categoria di uomini-politici sia quella di convincere l’interlocutore piuttosto che di aiutarlo a comprendere, e questo, come conclude il signor Russi nella sua lettera, «il cittadino non lo merita».

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