Distanti, ma uniti: una visita inaspettata

Anche in questo periodo di abitudini quotidiane e di rituali ripetitivi, capitano cose che non ti aspetti. Scossoni emotivi che ti colgono di sorpresa, ti entusiasmano, ti commuovono. Perché la vita è sempre avanti e ti stupisce, sempre.

Distanti, ma uniti: una visita inaspettata

Mi preparavo a una giornata monotona e ripetitiva quando all’improvviso è arrivato Tommaso. E’ successo così: stavo finendo la rassegna stampa quando mi chiama mia sorella e mi fa: è nato. Già nato? Guardo il calendario: più di due settimane di anticipo sul previsto.

E come sta? E Francesca? La lontananza tra me e mia sorella non è dovuta al Coronavirus, ma al fatto che lei sta a Roma e io a Padova. Anzi in questi giorni ci siamo sentite anche più del solito, per tenerci informate sulla salute di figli e nipoti e di nostra madre. «Bene, tutto bene – risponde lei – Questa notte l’hanno portata di corsa in ospedale e stamattina è nato». Mia sorella non c’era, perché è medico e come tale, categoria a rischio. «Non hai visto la foto? Te l’ho appena mandata». Appena riattacchiamo guardo questa immagine bellissima, dominata dal verde dei camici protettivi, il colore della speranza. E rimango incantata.

Ammetto che in questa fase di quarantena sono ipersensibile, come tutti, mi pare. Mi sembra di essere molto serena e tranquilla, poi, nonostante mi sforzi di atteggiarmi a ruvida cronista di strada, mi viene un nodo in gola anche solo guardando il tg. Figuratevi guardando questa foto. Mi torna in mente quando ero appena andata a vivere a Roma, ospite di mia sorella. Francesca era piccola piccola e io dormivo con lei. Ero totalmente impreparata al mio nuovo ruolo (al quale poi mi appassionai al punto che al giornale per prendermi in giro mi chiamavano zia Madina) e se di notte si svegliava le cantavo le canzoni degli alpini e lei, ignara che le stessi raccontando della linea del Piave o di notti di guardia trascorse all’addiaccio, si riaddormentava beatamente.

E penso a quando, ormai laureata, è venuta a Padova per un tirocinio, e io che sono mattiniera me la ritrovavo già in cucina, alle 6 e mezza, lavata e vestita, pronta a correre in ospedale dove sarebbe rimasta a volte fino alle 9 di sera passate. E fu allora che rimase incinta del suo primogenito. E penso che per questo secondo bambino è stata costretta a rinunciare al suo lavoro, perché non era a tempo indeterminato. E penso che forse avrei dovuto avere più coraggio anch’io e fare altrettanto. Perché nulla è così bello e se vedo il viso stanco di Francesca e le sue bellissime mani che proteggono il suo bambino mi sembra tutto terribilmente semplice.
E questi pensieri mi si fiondano tutti insieme nella mente in una frazione di secondo.

E per fortuna in questa frazione di secondo Oscar entra in studio e mi trova con un sorriso radioso e gli occhi lucidi. E dopo un attimo di comprensibile perplessità mi chiede divertito: «Attacco di teresina?».
«Di più», confermo ridendo. E gli passo il cellulare.

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