Don Leopoldo Voltan. «Ripartiamo dalla vita delle persone»

Cogliere l’essenziale, partire dalla vita delle persone, ridisegnare la relazione presbiteri-laici, offrire una formazione che dia consapevolezza, dare qualità alle proposte. Intervista a don Leopoldo Voltan.

Don Leopoldo Voltan. «Ripartiamo dalla vita delle persone»

Le parole chiave che emergono dalla riflessione sulla parrocchia da parte di sacerdoti e laici delle parrocchie e dei vicariati sono ricche di significato. Don Leopoldo Voltan, vicario episcopale per la pastorale, si sofferma su questi elementi che rappresentano tappe importanti di un cammino ancora in divenire.

Don Leopoldo, nelle sintesi torna spesso l’idea di rendere più essenziale la vita e le strutture delle parrocchie.
«In effetti ritorna in tantissimi contributi il desiderio di maggiore essenzialità, in cui si scorga meglio il volto della parrocchia. L’essenziale è certamente l’incontro con Gesù e la vera sfida a questo proposito è comprendere come permettere questo incontro, anche lasciando qualcosa che caratterizza adesso le nostre pianificazioni. Si tratta di scegliere le priorità su cui concentrarsi, ma in molti hanno sottolineato la necessaria qualità delle proposte: bisogna partire dalle domande esistenziali delle persone e poi serve approfondimento»

Laici e presbiteri mettono in evidenza la condizione esistenziale di ognuno.
«C’è il rischio di una parrocchia che guardi anzitutto alle proprie strutture interne piuttosto che alle domande di vita e alle soglie cruciali dell’esistenza, questo viene sottolineato in molte relazioni. Si chiede una pastorale più creativa, libera, gratuita e meno preordinata e ingolfata. Viviamo un’epoca in cui la fede passa dall’incontro personale: più che una serie di iniziative, alla comunità viene chiesto un cambio di atteggiamento, la capacità di affiancarsi e prendersi a cuore. Mi verrebbe da dire che questa è la “chiesa in uscita”, non ulteriori proposte ma la conversione personale e comunitaria a un atteggiamento di ascolto e di relazione».

Quanto conta la formazione in tutto ciò?
«Uno snodo fondamentale. Nel pensare il nuovo volto di parrocchia, preti e laici parlano di un cammino condiviso, che prepari possibili grandi svolte diocesane, come la scelta dei ministeri. Ci vuole una condivisione di esperienze formative per trovare un linguaggio comune e prassi che permettano davvero di essere insieme, in comunità che si ridefiniscono non in base al “cosa fare”, ma dal “come essere”».

Serve una relazione nuova tra sacerdoti e laici?
«Anzitutto nei vari riscontri emerge una grande stima reciproca. Si legge un affidamento dei sacerdoti verso i laici e viceversa. Nel testo si staglia la prospettiva della ministerialità dei laici su cui continuare a riflettere, da cogliere in tutte le sue implicazioni: non una supplenza generata dal calo delle vocazioni, ma una risposta al battesimo e al desiderio di tener viva l’esperienza cristiana in una comunità. Ai preti si chiede un ripensamento del loro ministero basato sulla relazione, ma anche sulla competenza teologica e liturgica, capace di favorire l’incontro con Gesù. Ai laici, nel rispetto dei tempi della loro vita, una crescita nella responsabilità: non “professionisti” della fede, ma annunciatori umili e delicati del Vangelo, attraverso una vita comunitaria che sostenga stili e scelte di vita quotidiane delle persone».

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