È questione di leader

Un post su Facebook o un commento su Twitter. Un video su YouTube o una foto su Instagram. Anche la politica ha dovuto aggiornare il suo registro comunicativo, azzerando i tempi per essere al passo della nuova era, in cui si è sempre in campagna elettorale. La visione di Fabio Bordignon, docente di scienze politiche all'Università di Urbino.

È questione di leader

Ormai siamo sempre e costantemente in campagna elettorale.
Più di prima, più di quando a dettare l'agenda erano gli appuntamenti in piazza, gli articoli sul giornale o le dichiarazioni al telegiornale. Internet, i social network e gli smartphone hanno azzerato i tempi della stessa agenda quotidiana di un politico o di un partito. Che sia un post su Facebook o un tweet, si è sempre pronti a dire la propria.

«C'è chi tende – sottolinea Fabio Bordignon, docente di scienze politiche all’Università di Urbino – a vedere l'avvento di internet e del web 2.0 come momento di svolta e di cesura col passato per il modo in cui le logiche mediatiche influenzano le dinamiche politiche. Poi altri, e io mi iscrivo a questa categoria, tendono vedere nel web un motore di accelerazione e enfatizzazione di dinamiche già visibili però in precedenza: la velocizzazione, la spettacolarizzazione e anche la drammatizzazione. E, su tutto, la personalizzazione della politica stessa. Sono fenomeni che erano già visibili all'epoca della mediatizzazione di stampo televisivo: il web però esaspera queste trasformazioni, che accelerano e con la stessa velocità fanno declinare le carriere dei politici. Se Berlusconi può creare un partito dall'oggi al domani e in qualche modo durare 20 anni, il caso di Renzi è sintomatico di una stagione diversa, in cui la sua parabola politica sembra già in fase discendente».

Hashtag e campagne online non si traducono automaticamente in voto. Ma tale modello crea l’illusione di riavvicinare politica e società, dal “palazzo” all’interno della casa di un elettore...

«Tutto tende a ruotare attorno al rapporto diretto tra il leader e il suo popolo di followers. Con internet si teorizza la relazione uno a uno, mentre la televisione prevedeva un messaggio "uno a molti". C'era chi già all'epoca immaginava che queste dinamiche potessero servire ad avvicinare la politica ai cittadini: il politico andava in tv, si rivolgeva ai suoi elettori e innescava meccanismi di responsabilità perché mettendoci la faccia e promettendo determinate cose diventava portatore di un legame di responsabilità. L’accorciamento della catena tra leader e popolo lo troviamo enfatizzato ancora una volta nell'epoca della rete che promette molto di più di quello che poteva fare la tv: diventa anche partecipazione, attivazione dei cittadini. Se guardiamo poi concretamente la "democrazia del pubblico" è ancora presente».

Questo è l’aspetto sano e virtuoso della rete. Stefano Epifani accusa i social a servizio dell’ultima campagna elettorale di aver impoverito il dibattito. Si esasperano le emozioni e si mettono da parte ragionamenti. Conta di più il messaggio o la persuasione con cui viene veicolato?

«La cosa che conta di più è l'emittente di quel messaggio, la credibilità e il consenso di cui gode. Provando ad alzare lo sguardo – e metto in cima Salvini e Renzi, al di là delle differenze comunicative e del profilo politico – vedo molte più somiglianze che differenze, dal modo in cui vengono utilizzati i media, dai modi in cui si colorano di elementi di tipo "populista". Salvini è diverso per il tipo di ricette proposte, ma vedo più continuità nei modi che rottura. Quello che cambia è che abbiamo un leader che incarna il nuovo, come Renzi lo era nel 2014. Renzi, invece, è diventato l'emblema di tutto quello che combatteva inizialmente attraverso il concetto della rottamazione».

E poi c’è il Movimento 5 Stelle che ha cavalcato al meglio le potenzialità della rete, in una fase in cui c’era positività attorno all’innovativo web. Il successo del 4 marzo, però, non è un sapiente ibrido tra comunicazione tradizionale e online?

«Il Movimento 5 Stelle è figlio di tutte queste trasformazioni, sia nelle sue sfumature positive e virtuose, sia nei suoi risvolti problematici. Credo, inoltre, che sia allo stesso tempo all'incrocio tra due fasi diverse: da un lato punta tutte le sue carte sulla rete come organizzazione e ideologia, dall'altro lato, nelle dinamiche concrete della costruzione del consenso, il Movimento ha utilizzato tutte le armi della persuasione politica di tipo televisivo. Beppe Grillo viene dalla tv e, pur non andandoci nella campagna del 2013, attraverso una strategia interessante si è fatto rincorrere quotidianamente. I pentastellati sono stati molto abili nello sfruttare ciò che accusavano di appartenere alla vecchia politica, non a caso il responsabile della comunicazione è Rocco Casalino che sappiamo venire dal Grande Fratello. Il Movimento 5 Stelle offre un insegnamento molto interessante ai vecchi partiti chiamati a reinventarsi, ma arriverei a dire alla democrazia in senso più ampio:

il suo successo dimostra come esistevano alcune domande di rappresentanza che attendevano una risposta e se il totem della democrazia diretta forse non si mostrerà nella forma più pura, potrebbe comunque funzionare da correttivo rispetto al modello rappresentativo.

E tutti i politici di oggi, pensando all’uso dei social, hanno rubato qualcosa dal Movimento».

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