Il 25 dicembre a Casa Santa Chiara, tra i malati oncologici negli ultimi istanti di vita. Una stella cometa ogni giorno

La gratitudine è il senso del 25 dicembre all’interno di Casa Santa Chiara, un luogo che accompagna i malati oncologici negli ultimi istanti di vita

Il 25 dicembre a Casa Santa Chiara, tra i malati oncologici negli ultimi istanti di vita. Una stella cometa ogni giorno

Quando si varca la porta dell’hospice di Casa Santa Chiara diversi sono i sentimenti che riempiono l’animo, i corridoi e le stanze. Spesso contrapposti, che siano d’impulso o meditati. Ma ce n’è in particolare uno che soprattutto nei giorni d’Avvento e che precedono il Natale riscalda il cuore degli operatori e di chi lo dona: è la gratitudine. Una riconoscenza spontanea del malato, ma anche dei familiari che lo circondano negli ultimi istanti di vita. E di quei parenti che a distanza di anni ritornano nella struttura nata nel 1994 per volere delle suore Francescane Elisabettine, solo per dire ancora una volta “grazie”. «Persone che hanno perso il loro caro tanti anni fa continuano a venire – racconta l’operatrice Fiorella Bacco – È come se ci fosse qui la stella cometa che conduce i re magi e i pastori a intraprendere un cammino. Ecco, arrivano a distanza di tanto tempo per un senso di gratuita gratitudine, per la manifestazione di un genuino segno di ringraziamento, piccolo o grande che sia».

Sono 22 anni che Fiorella Bacco trascorre il Natale in servizio. Non ha un ricordo particolare perché ogni vigilia, ogni 25 dicembre sono diversi l’uno dall’altro: «Il Natale qui a Casa Santa Chiara non lo fa il calendario, ma lo fanno le persone. Tutti i giorni qui non sono scanditi dallo sfogliare e strappare le pagine dei mesi, ma dalle condizioni fisiche e psicologiche delle persone. Le persone con il loro stato fisico, psicologico, spirituale che il giorno di Natale sono ancora con noi o ci lasciano. Anche quest’anno varco la porta sapendo che la malattia non conosce il tempo o un determinato avvenimento. Ci sono persone che muoiono nel giorno in cui nasce Gesù Bambino. Il giorno di Natale non lo facciamo noi, ma le singole donne e uomini che vivono la casa». E ogni persona è diversa. Pur con patologie simili a chi sta nella stanza vicina, ciascuna è caratterizzato da un vissuto personale che la malattia ha reso, appunto, diverso. Così ci sono pazienti che riescono a percepirlo come un giorno di preghiera, di conforto, ma anche di festa. E chi, al contrario, vive le ultime ore in attesa. Fiorella racconta alcuni momenti precedenti alla pandemia quando il 25 dicembre si preparava un pranzo condiviso nel refettorio che sapeva più di festa: «Rispetto ad altri luoghi “sanitari” qui si può stare in compagnia dei propri cari, amici, familiari, nonché bambini e anche cani. Questi affetti riempiono il giorno di Natale, anzi riempivano, perché purtroppo questi due anni li hanno vissuti in solitudine».

Per l’infermiere Stefano Pangrazio, invece, questo è il suo quindicesimo Natale che vive all’interno di Casa Santa Chiara: «Lo so, sembra quasi una contraddizione il 25 dicembre nella nostra struttura. Parlare di nascita in istanti che precedono la morte. Ma non è paradossale: viviamo la nascita ogni giorno, ogni mattina, ogni qualvolta entriamo nella stanza della persona ed è ancora con noi. In questi istanti in cui fuori di qui si celebra la nascita e con essa si esalta la vita, sentiamo l’esigenza di essere vicini ai familiari: è proprio quel pallium, quella coperta con cui vogliamo avvolgere le persone, riscaldarle. Ma dev’essere ancora più spessa, ancora più imbottita, perché sono attimi in cui emergono le debolezze. Non so nemmeno quanto loro riescano a percepire la nostra presenza, sono momenti intimi nella relazione delle persone, ma noi ci siamo. Con prudenza, delicatezza e sapienza. Soprattutto nei giorni natalizi». Sapienza e prudenza. Due virtù che Stefano sottolinea e rimarca più volte, a partire dall’antifona maggiore del 17 dicembre che si apre proprio con la prima qualità e si chiude con la seconda: «Per quello che mi riguarda, la nascita più bella è che tutti possano accedere alle cure palliative. Anche chi è nel proprio letto domestico. Sì, ci vuole sapienza: sarebbe bello diffondere il senso e la cultura delle cure palliative. Noi uomini ci sentiamo immortali, allontaniamo la morte, ma al fine vita arriviamo tutti».

Da 40 anni Anna Odorizzi è infermiera; è dal 1999 all’interno di Casa Santa Chiara di Padova e dallo scorso 8 marzo ne è anche direttrice. Per lei il Natale è sinonimo di speranza, quest’anno più di tutti perché volge lo sguardo alle giornate trascorse in pandemia e pensa che non ci possa essere spinta più catalizzante ed energetica della speranza: «Rispetto a fede e carità, è la più piccola delle virtù teologali, ma è la più forte. Mi sono detta che va coltivata perché lavorando in un contesto come Casa Santa Chiara se io e il gruppo non abbiamo la speranza viene meno la fiamma che ci fa continuare. Posso essere stanca un giorno, ma c’è la fiammella della collega a rinvigorirmi; in un’altra occasione farò lo stesso con lei. Solo così noi riusciamo a superare le difficoltà, a essere sempre accoglienti con gli ospiti e con i loro familiari. E a essere portatori di pace, di luce e di amore».

Lana colorata e uncinetto per le cure palliative

Lo scorso 11 novembre, giorno di san Martino, patrono dei palliativisti, la struttura ha esposto una coperta di oltre 240 metri, colorata e avvolgente realizzata da volontari mettendo assieme “mattonelle” quadrate di 20 centimetri e confezionate all’uncinetto, a maglia o a cucito, con lana nuova o riutilizzata. Una chiamata per sensibilizzare la popolazione sul tema delle cure palliative.

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