Il Santo incontra la sua città con nuovo slancio. La festa per la comunità dei frati

Il rettore della Basilica, padre Oliviero Svanera, sottolinea come la pandemia abbia trasformato anche la festa del Santo

Il Santo incontra la sua città con nuovo slancio. La festa per la comunità dei frati

È il Giugno antoniano della ripartenza, della rinascita. Lo dice anche l’immagine scelta per questa XV edizione. «Il Santo che ha l’atteggiamento di rialzare la persona, riferendosi all’uomo che si era tagliato il piede, è il messaggio che un po’ tutti cerchiamo di proporre in questi giorni – spiega padre Oliviero Svanera, rettore della Basilica – Attraverso il Santo possiamo anche noi riprendere un senso di fiducia e di speranza. Ce lo aspettavamo già lo scorso anno, ma credo che a questo punto dobbiamo sperare che i tempi più difficili siano finiti e che la benedizione dall’alto impartita l’anno scorso possa portare i suoi frutti. Lo spirito nella comunità dei frati è proprio questo: un senso di fiducia rispetto ad un tempo che sicuramente ha provato tutti, ma come dice la Scrittura, un po’ anche purifica e quindi è un tempo che confidiamo possa aver esaurito il suo ciclo di difficoltà».

La Basilica è da sempre meta di pellegrinaggi, luogo di incontro di numerosissimi fedeli e devoti. L’anno appena trascorso ha visto sicuramente un calo dell’afflusso.

«Essendo una Basilica internazionale – dice il Rettore – abbiamo risentito della mancanza del flusso dei pellegrini dall’estero che ha privato tutta la città di turismo e di tante opportunità che per noi sono opportunità di incontri. Come comunità siamo stati toccati dal virus, abbiamo anche perso un confratello. Se usassimo il linguaggio di papa Francesco, diremmo che l’odore delle pecore ce lo siamo presi, nel senso che abbiamo vissuto anche noi le nostre pene e difficoltà, anche di una chiesa che soffre l’assenza di pellegrini. Dall’altro lato però ci siamo anche posti l’interrogativo di come poter far sentire la presenza del Santo. E le risposte le troviamo anche nel Giugno Antoniano: dall’andare incontro alla città con la statua al legame di quest’anno con la Madonna della Salute di Venezia, fino alla dimensione dei social, la televisione o i media in generale. Una certa creatività pastorale è stata suggerita dalla pandemia, senza rassegnarsi o demoralizzarsi, modalità di incontro che in altri tempi erano impensabili, con cui facciamo sentire viva la presenza del Santo. Credo che ci sia stato anche da parte di tutti noi il desiderio di trovare delle vie alternative».

Quindi si è riusciti comunque a mantenere un senso di affetto, un legame con il Santo?

«Direi di sì. Anche se abbiamo avuto tutti la sensazione di un calo di frequenza, ma c’è un tema di purificazione quando accadono queste situazioni. Sono tempi importanti perché nessuno toglie le domande fondamentali che sorgono in questi contesti, tutti abbiamo fatto i conti con la pazienza, il sopportare certe fatiche. Le famiglie sono state molto provate in queste situazioni, le persone anziane, i ragazzi: tutto questo ci ha coinvolto e forse ha potuto far sentire ancora di più la presenza del Santo, perché è proprio in queste occasioni che Antonio si mostra con tutta la sua forza di intercessione. Anche le testimonianze che abbiamo avuto ce lo dicono: tante persone ringraziano, hanno sentito la Basilica vicino, che hanno trovato una parola di conforto, di fiducia, di speranza. Vuol dire che siamo riusciti a comunicare e ad essere vicini».

Quale potrebbe essere una riflessione, un passaggio della vita di Antonio che può aiutarci a ripartire?

«Quest’anno è l’ottavo centenario del suo arrivo in Italia. Se andiamo a vedere il suo percorso di vita le cose non sono “funzionate” secondo i propri desiderata: l’anelito che aveva colto nel francescanesimo e che lo ha portato a vestire l’abito francescano, aveva irradiato in lui tanti ideali e aspettative. C’era la missione, che però non è andata come lui si aspettava, così come non si aspettava di finire sui lidi italiani, naufrago. Viene da pensare che nessuno di noi si aspettava questo periodo di pandemia, ci ha colti di sorpresa, abbiamo fatto fatica a gestirlo e ancora oggi viviamo con apprensione. Antonio si sarà fatto le stesse domande: cosa si aspetta il Signore da me, che cosa vuole dalla mia vita nel momento in cui il desiderio di missione e di ritornare in patria sono stati frustrati? Cosa ci insegna questo? Che affidandoci alla Provvidenza con atteggiamento di fede, non possiamo vivere questo momento solo con un senso di amarezza e tristezza, con sensi di dubbi o rabbia. L’atteggiamento di Antonio ci dice che il Signore ha per noi dei progetti sempre più grandi di quello che immaginiamo. Non avremmo Antonio se non fosse arrivato in Italia, se non fosse stato accolto, se non avesse accettato di continuare la sua avventura in una terra a lui sconosciuta. Questo credo sia una cosa su cui riflettere perché alle volte pensiamo solo che il Signore non stia costruendo dei progetti di bene per noi, mentre lo sguardo sul centenario di Antonio può dare una prospettiva di speranza che va oltre quello che noi, nel qui e ora, non riusciamo a cogliere».

La diocesi di Padova si accinge a vivere un grande momento, quello del sinodo.

«Se lo guardiamo dal punto di vista antoniano, direi che un aspetto su cui Antonio ha mostrato di esser molto attento sono state le esigenze della Chiesa. La sua predicazione, che lo ha distinto, è sempre stata attenta ad un mandato ecclesiale e nella linea tipicamente francescana della riconciliazione, della pacificazione, di una capacità di costruire i legami rispettosi dei diritti dei più deboli.  Ecco io credo che questo sforzo della Chiesa di Padova vada nella direzione di voler coinvolgere un po’ tutti, camminare insieme, perché la via del cristiano non è mai solitaria ma tutta la Chiesa si sente interpellata di fronte a quelle che sono le domande dell’esistenza odierna, dell’uomo d’oggi. È una Chiesa che, attraverso questa modalità, si fa carico delle persone, delle speranza, dei dubbi, delle difficoltà, delle gioie, delle fatiche del mondo. Il sinodo è una grande sfida: dobbiamo sentirci insieme coinvolti nell’annuncio cristiano oppure non avremmo la possibilità di dire una parola di salvezza, nessuno si salva da solo. Un segno provvidenziale, in tempi così complessi, una chiamata per tutta la chiesa a non lasciarsi demoralizzare ma sentirsi maggiormente coinvolta in un annuncio di nuova evangelizzazione. Una festa del Santo che avviene in tempi di ripartenza, così come un sinodo che dà un segno di speranza, di rinnovamento».

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