Il giovane Vinicio della Vecchia tra guerra e fascismo

Vinicio dalla Vecchia. Era il 17 agosto 1954 quando il giovane di Azione cattolica scivolò dalla parete del Catinaccio perdendo la vita. Da ragazzo visse il regime fascista

Il giovane Vinicio della Vecchia tra guerra e fascismo

Ha solo 16 anni Vinicio Dalla Vecchia quando il 10 giugno 1940 l’Italia fascista decide di entrare in guerra a fianco della Germania per dividere gli onori di una vittoria che sembrava acquisita. Nonostante la firma dei Patti Lateranensi, i rapporti del regime con la Chiesa erano tutt’altro che sereni. Negli ambienti cattolici, sul finire degli anni Trenta, serpeggiava molta inquietudine e preoccupazione. Dalla Vecchia in un primo tempo guardò con simpatia alle scelte del Governo fascista. In prossimità del suo primo campeggio in Val di Fassa, il 26 luglio 1940, viaggiando con la littorina, scrive: «Mi sembrava di scorgere nell’azzurro sterminato ed incantevole del Mediterraneo, il Mare nostrum, questa giovine gloria dell’Italia fascista, combattere valorosamente contro il brutale nemico inglese, la cui boria e superbia sarà finalmente affogata in quel mare che ingiustamente pretendeva e che sarà la sua fatale tomba. Com’era bello e patriottico soffermarsi in quei dolci pensieri; spingere il focoso cavallo della fanteria sull’immenso impero coloniale britannico (…). Ma l’ora propizia delle rivendicazioni è giunta e noi ne approfittiamo. Gioventù e giustizia trionferanno». I soldati che incontrava e vedeva nelle varie stazioni erano visti da Vinicio Dalla Vecchia con ammirazione.

La retorica del Regime aveva fatto breccia nella testa di un ragazzo di 16 anni, come del resto l’aveva fatta in quella di tanti altri suoi coetanei. Tre anni dopo, nell’estate del ’43, quando in paese a Perarolo alcuni amici vengono chiamati per il servizio militare, Vinicio è sfiorato dall’idea di presentarsi volontariamente per essere arruolato nel corpo degli “scarponi”, cioè degli alpini. Era un modo per stare in mezzo alle montagne che tanto amava. Nel giro di pochi giorni sarebbe cambiato tutto. Le dimissioni di Mussolini decise dal Gran Consiglio fascista il 25 luglio, e la formazione di un governo di tecnici e militari presieduto da Badoglio, colse la popolazione di sorpresa. Non appena la notizia si diffuse molte furono le reazioni improvvisate di gioia in tutto il paese. La reazione di Dalla Vecchia la conosciamo tramite una cartolina indirizzata alla sorella Livia, scritta solo quattro giorni dopo dove, con un avverbio inequivocabile, esprime tutta la sua gioia per la caduta di Mussolini: «Adesso il Duce è tramontato (finalmente!), perciò bisogna cambiare». È questo l’invito che fa non solo alla sorella Livia, ma anche ai suoi amici di Perarolo e in modo particolare quelli dell’Azione cattolica.

Dalla Vecchia fu addirittura costretto nella sua fitta corrispondenza con gli amici più fidati, a scrivere utilizzando un codice segreto affinché la censura fascista non leggesse quello che veramente pensasse. La chiamata alle armi dei suoi compagni di Perarolo lo intristiva. Il 7 agosto del ’43, mentre si trova a Moena in provincia di Trento, annota in una lettera inviata a Danilo Agostini: «So della chiamata alle armi di Carletto e di Bruno: son proprio due vuoti che difficilmente si potranno colmare: non disperiamo. Quassù, quando si incontra qualche dura difficoltà, si ripetono le parole di una celebre guida alpina: “Dove c’è la volontà, c’è una ‘via’ e sorretti da questa volontà ferma di passare oltre il punto critico, passiamo”. (…) Certo non bisogna mai trascurare il ricorso a Chi tutto presiede e governa – là sta la chiave di ogni riuscita». Il ritorno del fascismo con la Repubblica di Salò e la prosecuzione della guerra, aveva chiamato alle armi le classi ’23-’24 e Dalla Vecchia (classe 1924) avrebbe dovuto presentarsi. Chi non l’avesse fatto rischiava la fucilazione al petto per diserzione. Il giovane la evitò grazie all’aiuto del cugino don Bartolomeo Dal Bianco che, avendolo suo ospite nel collegio salesiano di Legnago (Verona), lo aveva registrato come “novizio religioso”, e come tale aveva diritto all’esonero dalla chiamata alle armi. Ma la prospettiva di una vocazione religiosa era più nei desideri del cugino salesiano che nelle intenzioni del ventenne Dalla Vecchia.

L’amore per le Dolomiti nelle sue lettere

La maestosità della Marmolada è presente più volte negli scritti di Vinicio. In una lettera inviata ad Antonio Zanella detto Uccio, così scrive la sera del 2 settembre 1949: «Eravamo con Bepi nei prati che circondano il Rifugio Contrin a più di 2000 metri. Il cielo era coperto di innumerevoli stelle, attorno a noi vette che si susseguivano in catene di meravigliosa imponenza; un po’ lontano il rumore di una cascata. Poi tutto silenzio. Parlavamo di problemi dell’anima ed era frequente il riferimento alle bellezze che ci attorniavano: ad un certo punto ci siamo inginocchiati e guardando la vetta della Marmolada che a noi sembrava toccasse il cielo, abbiamo recitato il Credo! Che momenti di gioia e di fede! Ti ho pensato, eri tanto lontano, ma anche tanto vicino, vicino per quella grazia divina che allieta e fa grande la tua e la nostra anima».

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