Il mondo vive a Padova. Culti e tradizioni differenti in un luogo così ricco di fede

Nell’area di via Bernina nel quartiere Arcella, si mescolano chiese pentecostali nigeriane, una evangelica cinese, una moschea e un tempio indiano. Più in là, la chiesa ortodossa

Il mondo vive a Padova. Culti e tradizioni differenti in un luogo così ricco di fede

Manish Kumar Saini è tra i primi ad accorrere la notte tra il 4 e il 5 novembre scorsi nell’area Funghi, quartiere Arcella, in quel quadrilatero racchiuso tra corso Tre Venezie e via Bernina. È divampato un incendio, Manish guarda le fiamme spaccare i vetri e avvolgere le mura esterne di un immobile al secondo piano. A prendere fuoco è il tempio induista Shree Salasar Mandir, luogo di culto tanto voluto dagli induisti padovani e non solo, inaugurato solamente un anno prima, a fine luglio 2020. Manish Kumar Saini, indiano, è uno dei 16 rappresentanti della commissione stranieri di Padova: «Mi sono sentito perso. Quando finivo di lavorare, dopo le 19, andavo sempre lì a pregare, anche nel fine settimana. Per anni, tanti anni, qui a Padova non abbiamo avuto un tempio per noi, mi ricordo il 28 luglio, il giorno dell’inaugurazione, ho pianto di felicità. Finalmente. Abbiamo bussato porta a porta, tra i vari fedeli, per finanziarci e alla vista delle fiamme ho visto perdere tutto davanti ai miei occhi».

Una scintilla proveniente dall’impianto elettrico o, forse, una candela lasciata accesa al termine del rituale per la cerimonia di Diwali, la “festa delle luci”, una delle più importanti nella tradizione indiana che celebra la vittoria del bene sul male. Il tempio è dedicato al dio scimmia Hanuman, in particolare Salasar Balaji, secondo la tradizione religiosa della città di Salasar in Rajasthan, lo Stato federato più grande dell’India. Particolarmente sentita come divinità da chi proviene da quelle terre al punto che nel giro di un anno il luogo di preghiera arcellano ha visto la presenza di fedeli provenienti non solo dalla provincia, ma anche da Brescia, Roma, Napoli e Lecce. Uno sguardo che racconta qualcos’altro di quel quadrilatero chiuso su se stesso, come una corte che si “rifugia” dall’esterno, la cui via principale d’accesso – via Bernina – è stata murata un paio di anni fa per separare, dicono, gli spacciatori. Così oggi, l’unica via d’ingresso è corso Tre Venezie. Eppure il tempio sorge, o meglio sorgeva, in un’area dove l’intercultura si esprime con i volti, i riti, gli usi e i costumi di diversi popoli che hanno cercato di valorizzare la loro identità ricavandosi un piccolo spazio all’interno della città. È un micromondo che sboccia soprattutto di domenica quando all’interno proprio di quella corte, si incrociano passi, sguardi e vite da latitudini e longitudini differenti.

Qui c’è chi si scambia le fedi promettendo una vita eterna assieme. Come Chen e Wu, due cinesi che lo scorso 6 dicembre hanno celebrato il loro matrimonio all’interno della chiesa evangelica cristiana cinese. È in fondo al gruppo di edifici, riparata sulla sinistra, si accede salendo una rampa sul cui muro giganteggia il disegno di un enorme megattera. L’interno è sobrio, una croce rossa illuminata appare al centro del palchetto; un coro di giovani ragazzi intona un cantico celebrativo con tunica bianca e risvolto rosso. È un giorno di festa e ad applaudire i due giovani sposi ci sono sia cinesi che italiani. Ogni domenica, qui, è un giorno di festa. Nel via vai di volti che si sovrappongono, da una scalinata si vedono bambini e bambine, zaino in spalla, uscire da una porta mano nella mano dei loro papà. È la moschea e centro culturale islamico Al Farouq e la domenica mattina ospita lezioni di lingua araba per i più piccoli. Il venerdì, invece, ora di pranzo si anima e si popola di fedeli che si ritrovano per una breve, ma partecipata preghiera collettiva. C’è chi va di fretta perché deve tornare al lavoro, chi indossa la divisa di corriere o food delivery, altri si intrattengono sorseggiando una bevanda calda che di questi giorni riscalda anima, dita e corpo. A celebrazione terminata, Youssef Ben Abdallah, presidente del centro, racconta l’importanza di questo luogo di culto: «Siamo qui da otto anni e il nome, scelto in assemblea dai fedeli, è dedicato a Omar, il secondo califfo islamico. Per noi è fondamentale pregare in gruppo, seguendo l’imam, la nostra guida spirituale: la preghiera ha un valore maggiore se fatta assieme. È frequentata da tutti, italiani, tunisini, algerini, chi viene dal Marocco o dall’Iraq o dal Kosovo. Ci sono anche africani di varia provenienza. Negli anni abbiamo stretto rapporto anche con la Diocesi di Padova soprattutto il 27 ottobre che è la Giornata del dialogo cristiano-islamico e poi lo scorso maggio abbiamo celebrato l’Id al-fitr (la festa di fine digiuno, al termine del Ramadan ndr) allo stadio Colbachini. Con questa pandemia abbiamo capito l’importanza delle relazioni, abbiamo sofferto le limitazioni ed è stata un’occasione per respirare nuovamente assieme».

Un tempio indiano, una chiesa evangelica cinese, una moschea. Nel caleidoscopico frammento di globo che queste quattro mura rappresentano ci sono anche ben otto chiese pentecostali nigeriane. Non si notano a prima vista perché dall’esterno sembrano semplici portelloni di capannoni o porte indistinte. Ma si sentono. Eccome. Canti corali, musica, prediche empatiche ed avvolgenti. Nella penultima domenica dell’anno appena trascorso, in una chiesa si festeggia il compleanno del loro pastore: all’ingresso donne e uomini elegantissimi, mentre un minivan scarica cibo e bevande tra sorrisi gioiosi e coinvolgenti. Coincide, poi, con le celebrazioni dell’Harvest: è la festa del raccolto, delle donazioni. Le comunità nigeriane, in questo giorno, omaggiano la propria chiesa con aiuti economici, alimentari o sostegno di vario genere per essere accanto a chi più ne ha bisogno. Davanti all’ingresso della Greater light ministry internazional Padova (il nome della chiesa come si legge in un volantino affisso sul portone) c’è Christian Agbor, anche lui all’interno della commissione stranieri, invitato a prendere parte alla messa: «Il cristianesimo è come un albero con i suoi rami e le proprie foglie. Crediamo in Dio, ma il modo di servire è differente, qui si canta, c’è musica e gioia. Così come l’Arcella ha le sue chiese, da Sant’Antonino a quella di San Carlo, anche i nigeriani hanno quella propria di appartenenza. Ognuna con il suo pastore a cui si legano maggiormente o anche perché queste qui di Padova sono supportate dallo stesso gruppo di appartenenza lì in Nigeria. È un luogo sentito: i padovani “storici” vanno in centro per passare le serate, qui gli stranieri si ritrovano tra amici, possono parlare la loro lingua e passare del tempo.

Qui si sentono un po’ più a casa». E un po’ più a casa si sono sentiti anche i tanti moldavi che appena fuori questo complesso, lungo via Tunisi, hanno eretto la chiesa dedicata a santa Cuvioasa Parascheva e aperta a tutti gli ortodossi italiani, rumeni, bulgari. Consacrata nel novembre 2016 dal vescovo Siluan, questo luogo di culto e di ritrovo è stato voluto dall’associazione Baştina traducibile con “luogo d’origine, di provenienza” dopo anni passati in una saletta comunale tra enormi disagi e continui spostamenti. È un’ulteriore luce che si accende, in un luogo di contrasti e visioni anche distorte. Qui c’è fede, aria di unione e di comunità. E dove si respira tutto questo non può che essere un giusto posto.

A Padova, cittadini provenienti da oltre 90 Paesi

Nell’ultimo annuario pubblicato dal Comune di Padova prima della pandemia, emerge che in città ci sono 35.461 residenti stranieri. Di questi 9.600 sono rumeni, 3.881 moldavi e 2.967 cinesi che hanno superato i nigeriani per numero.

Una voce agli stranieri

Nel settembre 2021, si è insediata ufficialmente la commissione per la rappresentanza delle persone padovane con cittadinanza straniera. Sono in 16 e hanno il compito di dare voce alle residenti e ai residenti non comunitari o apolidi. La presidente è Mabel Malijan e siede all’interno del consiglio comunale; hanno votato 2.788 persone su 18.967 aventi diritto. La comunità che più si è recata al voto è quella del Bangladesh con 773 su 1.108 cittadini. Hanno votato 1.011 donne e 1.777 uomini e il seggio che ha registrato un’affluenza maggiore è stato quello dell’Arcella.

Sono il nigeriano Christian Agbor; Shamaion Bahadar e Ahmed Khan Raja Iftikhar dal Pakistan; Kumar Saini Manish dall’India, Dominique Boa Koa dalla Costa d’Avorio; i filippini Edilberto Cipres jr, Mabel Malijan Lanorio, John Reyes Nobelo e Mallo Jamaica, dallo Sri Lanka Silva Andaradige Shehan Manoj e Weligama Arachchige Manoj Sanjeeva Dias, dal Marocco Hanane Mabrouk, Jun Zhou dalla Cina, Madjana Nuredini dalla Cina, e dal Bangladesh Hossain Mohammad Nahid e Hossain Shakhawat.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)