Il paraclimbing entra nel vivo delle gare

Con il Campionato italiano appena concluso, inizia la preparazione degli atleti azzurri che parteciperanno alla Coppa del mondo. In attesa di vedere questa disciplina debuttare ai Giochi paralimpici di Los Angeles 2028. Articolo pubblicato sulla rivista SuperAbile Inail

Il paraclimbing entra nel vivo delle gare

Il grande Walter Bonatti amava ripetere che da una scalata non chiedeva solo difficoltà, ma anche bellezza di linee. Già, perché se scalare una montagna o una parete rappresenta una straordinaria metafora di vita, la vita esige anche i suoi momenti di straordinaria bellezza. Sport oggi inclusivo, l’arrampicata ha cominciato ad aprirsi al mondo della disabilità nel 2000. Dieci anni dopo la Fasi (Federazione arrampicata sportiva italiana) ottiene il riconoscimento dal Comitato italiano paralimpico e nello stesso anno, a Bologna, si svolge il primo Campionato riservato ad atleti disabili. Non solo disabilità fisica, però, perché nel 2017 la Fasi firma un protocollo d’intesa con la Federazione italiana sport paralimpici degli intellettivo relazionali.

Tra gli atleti che in questi anni si sono distinti in questa disciplina c’è Alessia Refolo, piemontese di Ivrea, classe 1990. Da piccola sopravvive a un neuroblastoma. I farmaci, però, le danneggiano la vista. Per capire la sua vita e la sua voglia di spingersi oltre ogni limite basta leggere il titolo del suo libro, Se vuoi puoi, edito da Hever nel 2019, che poi è anche e soprattutto la sua filosofia di vita e un progetto che la stessa Alessia ha creato per i bambini e i ragazzi, ma che in seguito ha esteso anche agli adulti, per trasmettere il messaggio che nella vita tutto è possibile, basta volerlo. «Il mio amore per l’arrampicata è nato durante un fine settimana a Sondrio, invitata dalla campionessa paralimpica Silvia Parente», racconta. «Ho scalato per la prima volta all’aperto e mi sono sentita libera a contatto con la natura. Ma l’arrampicata è anche una sfida con se stessi nella quale ci si mette costantemente alla prova». Alessia arrampica dal 2013, pratica tutte le tre specialità (boulder, lead e speed) e ha raccolto parecchie soddisfazioni: su tutte l’oro ai Mondiali del 2014, l’oro al Campionato europeo l’anno successivo, a cui si aggiungono due primi posti in Coppa del mondo sempre nel 2015 e tanti titoli nazionali. Atleta a 360 gradi, Alessia Refolo negli ultimi anni affianca all’arrampicata la passione per il ciclismo, lo sci nautico e l’atletica, discipline che le stanno regalando risultati prestigiosi. Tra i sogni sportivi dell’atleta piemontese, però, c’è sicuramente quello di vedere l’arrampicata esordire alle Paralimpiadi: «Sarebbe veramente bello», confessa. «Ogni atleta che inizia a gareggiare ambisce a prendere parte a un evento del genere».

Simone Salvagnin scala da quando aveva quattro anni. Per lui, che è nato in montagna, parete e falesia sono un modo di esprimersi, di fondersi con l’ambiente, di sviluppare una dimensione relazionale oltre che motoria. Nato a Schio nel 1984, vanta un oro e un bronzo ai Mondiali di Arco del 2011, rispettivamente nelle specialità speed e lead, nonché un bronzo iridato a Parigi l’anno dopo. Oggi, accanto all’attività di atleta, porta avanti quella di responsabile federale del settore tecnico del paraclimbing in seno alla Fasi. L’atleta veneto è anche portavoce della Carta dei diritti delle persone con disabilità dell’Onu. Affetto da retinite pigmentosa, Simone gareggia nella categoria non vedenti. «Arrampicarsi è un gesto creativo, che permette di esprimersi a tutti i livelli e con qualunque tipo di disabilità», spiega. Infatti il climbing annovera varie categorie: amputati, sitting, ipovedenti, ciechi e riduzione di forza per patologia. «Non è solo agonismo, presenta anche connotazioni riabilitative». Sport inclusivo, dunque, come testimoniano anche gli eventi congiunti tra atleti olimpici e paralimpici. L’Italia, oltretutto, è una delle nazioni pioniere di questa disciplina: «Siamo sempre stati presenti a ogni edizione dei Mondiali in quasi tutte le categorie e ogni volta con soddisfazioni importanti dal punto di vista delle medaglie conquistate. Diciamo che siamo un Paese trainante in questo campo».

Ora, però, l’obiettivo più ambizioso si chiama Paralimpiade. Un obiettivo concreto, visto che l’Ifsc (International Federation of Sport Climbing) ha già deciso che questo sport entrerà nel programma dei Giochi paralimpici di Los Angeles 2028. E se si è appena conclusa la Coppa del mondo di Innsbruck e i Mondiali di Mosca, ora inizia il percorso di avvicinamento ai Giochi. A ottobre, poi, si volerà proprio a Los Angeles per un’altra tappa di Coppa del mondo, per quella che si preannuncia come una specie di preview delle Paralimpiadi: una specie di banco prova. L’obiettivo a medio e lungo termine, invece, è quello di far conoscere sempre più questo sport e creare sempre più centri di riferimento, oltre al Centro federale di Arco di Trento, affinché tante persone si approccino a questa disciplina.

Sicuramente tanto lavoro è stato fatto, come dimostrano i numeri degli ultimi Campionati italiani: «Quest’anno, ad Arco, hanno gareggiato una trentina di atleti: appena due anni fa erano quasi la metà», osserva Salvagnin. «Diciamo che in Italia possiamo parlare di un bacino di una cinquantina di potenziali atleti, anche perché parliamo di una disciplina che si può praticare dai cinque agli 80 anni, che non presenta rischi, si svolge in assoluta sicurezza, e anche questo è un messaggio che vogliamo riuscire a veicolare, perché spesso si pensa che l’arrampicata sia pericolosa mentre è molto più sicura di altri sport». Parlando del gruppo di atleti che attualmente fanno parte del giro della Nazionale e non, Salvagnin dice: «I ragazzi e le ragazze sono belli agguerriti, tra di loro ci sono atleti che definirei vere e proprie pietre miliari e che ancora gareggiano. Alcuni arrampicavano già, poi hanno avuto un incidente e hanno continuato a farlo nel settore del paraclimbing. Questo perché arrampicarsi è una metafora della vita: ci si aggrappa a una parete quanto ci si tiene alla vita. C’è molta passione in chi lo pratica. C’è amore per la montagna, per la natura e per la voglia di vivere avventure anche oltre lo sport».

(L’articolo è tratto dal numero di luglio di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)

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