Intervista al vescovo Claudio Cipolla. Fede e fantasia. Per un nuovo inizio

Una Pasqua inedita provoca alla riflessione personale e comunitaria. Soli a tu per tu con Dio, nelle nostre case, abbiamo l'occasione per misurare la qualità della nostra fede. E da lì ripartire con coraggio

Intervista al vescovo Claudio Cipolla. Fede e fantasia. Per un nuovo inizio

«C’è chi sta “aspettando che passi” per tornare a essere quel che eravamo prima. Altri vanno dicendo “d’ora in poi cambierà tutto”… Io penso che non dipenda dal Coronavirus ma da noi, quel che succederà. Se di fronte a questa tragedia non avremo la forza di cambiare noi stessi, il nostro cuore e il nostro modo di pensare, tutto sarà stato inutile. Se torneremo a pensarci come “gli occidentali” contrapposti al resto del mondo, come individui ognuno per conto suo, se non sapremo dare spazio a quei valori che pure abbiamo visto tanto forti nell’emergenza, la solidarietà, l’altruismo, la generosità, a cosa sarà servito tanto dolore? Ecco lo spazio straordinario che vedo emergere per il vangelo, per l’annuncio della fede, se noi cristiani sapremo davvero “stare dentro” questo tempo con l’intelligenza, la fantasia, l’energia che il Signore ci dona. Ma non per ritornare al passato… oggi è tempo di sognare, e di iniziare a costruire, una chiesa nuova. E una società nuova».

È un augurio impegnativo, ma affascinante come tutte le grandi sfide, quello che il vescovo Claudio consegna alla vigilia della Pasqua, dialogando in videoconferenza con i giornalisti della carta stampata. C’è dentro l’abbraccio di un pastore alla sua comunità nel momento della fatica, e al tempo stesso lo sguardo lungo di chi non da oggi invita a ripensarsi cogliendo i segni dei tempi.

Così questa Pasqua senza celebrazioni comunitarie, questa Pasqua immersa nel silenzio squarciato solo dalle campane che a mezzogiorno, da ogni parrocchia, suoneranno a distesa, può essere un’occasione preziosa per riappropriarsi a pieno della forza del proprio battesimo, in un rapporto personale con Dio che alla fine ci mette a nudo: nelle nostre fragilità, ma anche nell’autenticità di una fede ricondotta all’essenziale. Una fede proclamata e celebrata in famiglia, magari di fronte a quell’“angolo bello” che la diocesi ha invitato ad allestire in ogni casa: un vangelo, un crocifisso, un’immagine sacra, un fiore accanto a cui raccogliersi in preghiera.

«Sarà forse un caso, ma a ottobre, all’assemblea diocesana, avevamo condiviso l’invito a darci appuntamento proprio attorno al battesimo. Senza un vero e proprio piano pastorale, senza elenchi di cose da fare e traguardi da raggiungere ma proprio con l’obiettivo di recuperare tutto il valore di quella chiamata personale che è il battesimo, da cui attingere di nuovo energia per la nostra vita cristiana. Certo, in queste settimane sento quanto manchi la vita comunitaria. Manca a me per primo, che in questi anni ho tanto insistito sull’idea di comunità, sul valore della fraternità da sperimentare innanzitutto con quanti vivono accanto a noi. Però questo isolamento forzato ci aiuta a mettere in luce un aspetto che viene ancora prima della comunità: la nostra personale adesione al vangelo. Cosa vuol dire essere credenti, quando non c’è la messa la domenica, non ci sono patronati, associazioni, spazi d’incontro, scuole, catechismo a cui partecipare? Quale spazio ha davvero nella nostra vita quel Dio “che vede nel segreto”? È da qui che mi piacerebbe avessimo la forza di ripartire».

Verso dove? Tante volte hai proposto l’immagine di una chiesa che sia meno “istituzione” rispetto al passato. Oggi viviamo una condizione di “chiesa domestica”. È questa la strada per il cambiamento?

«Ho spesso indicato l’orizzonte di una chiesa meno istituzionalizzata, anche con minore rilevanza pubblica e non più presente in maniera capillare in ogni ambito della vita sociale come è stato lungo tutto il secolo scorso. Ma questo non significa e non deve significare una chiesa meno capace di educare le persone o meno incisiva nello scenario civile. Alla fine penso che se ciascuno di noi saprà recuperare e rinforzare la sua fede personale, avremo anche più nostalgia degli altri, sapremo anche apprezzare di più tante proposte e tanti spazi che prima davamo per scontati e di cui ora sentiamo la mancanza. Perché una fede personale non è una fede individualistica, tutt’altro. Anche i mezzi che la tecnologia oggi ci offre per un dialogo a distanza sono preziosi ma non potranno mai sostituire l’esperienza dell’incontro diretto, fatto di corpi, spirito, emozioni. Detto questo, è chiaro che l’emergenza che stiamo vivendo acuisce delle preoccupazioni che già avevamo. E ci invita ad approfondire ancora di più la riflessione sull’identità futura».

Almeno da due anni a questa parte la presentazione del bilancio della Diocesi è occasione per mettere a tema il futuro delle strutture, la sostenibilità di tante esperienze ereditate dal passato, l’utilizzo delle risorse economiche. Questo momento di crisi cosa ci sta insegnando?

«Intanto vorrei essere chiaro su un aspetto: per noi vengono sempre prima le persone degli ambienti o delle strutture. Siamo preoccupati, come tutti, perché ogni giorno si allunga la lista dei morti, perché tante persone rischiano di perdere il lavoro, perché viviamo giorni di angoscia. A chi mi chiede come sta la mia chiesa, pensando ai preti, dico che loro stanno abbastanza bene. Ma che la mia chiesa è fatta di migliaia di famiglie che stanno soffrendo. Siamo tutti sulla stessa barca, viviamo tutti la stessa sensazione di smarrimento e lo stesso dolore. Poi, certo, ci sono le strutture e sono tante: scuole dell’infanzia, scuole paritarie, patronati, le chiese stesse… è da tempo che sappiamo che lo scenario è cambiato, che quanto abbiamo ereditato da un tempo ormai passato va gestito con uno sguardo nuovo, ma siamo così legati alla nostra eredità che facciamo ancora fatica a immaginare scenari diversi. Che non vuol dire cedere a una tentazione pauperistica, anche perché abbiamo come chiesa grandi responsabilità anche sul fronte del lavoro. Ma questa crisi, certamente, ci costringerà a non attendere oltre per decisioni su cui comunque stavamo già ragionando».

Ma che tipo di ruolo potrà avere una chiesa così profondamente diversa dal passato nello scenario civile? Presto, speriamo, si porrà il tema di come ripartire. Ma avremo nuove povertà, avremo nuove fragilità con cui confrontarci. Avremo bisogno di riflettere sulle politiche sociali, sullo stato di salute della sanità, sul ruolo degli enti locali. Che contributo vuole portare la Chiesa di Padova al territorio in cui vive?

«Noi ci siamo. Ci siamo stati e ci saremo sempre, con uno stile chiaro: non lo stile del potere, non lo stile di chi vuole mantenere o aumentare i propri spazi ma lo stile umile e silenzioso del servizio, ai cittadini e anche alle istituzioni. Non ci interessa il ritorno di immagine, non ci interessa essere protagonisti ma aiutare, accompagnare, collaborare, mettendoci pienamente a disposizione. Al mio ingresso in diocesi ho sentito forte la richiesta da parte di tutti i soggetti sociali di aiutare un’opera di condivisione, di fare da collante perché tutti contribuissero al bene comune. Ecco, io resto fedele a quell’impegno che mi sono preso e su questo vorrei che tutti i nostri cristiani si impegnassero perché essere a disposizione del bene comune per noi è qualcosa di più del pur nobile “fare volontariato”: significa rispondere alla chiamata che abbiamo ricevuto, e non possiamo non farlo se vogliamo essere fedeli al vangelo. Mi pare che questo sia già stato capito. In queste settimane è emerso in mille forme non solo il cuore di una Padova cristiana ma anche di una Padova “amica dei cristiani”, che sa apprezzare e condividere quanto facciamo nei confronti di chi è in difficoltà».

I nostri missionari fidei donum sono presenti in alcuni degli angoli oggi più a rischio del pianeta: in Ecuador, Brasile, Etiopia, Thailandia. Che messaggi giungono da loro?

«Messaggi di vera, profonda preoccupazione. Ai nostri missionari in Ecuador abbiamo proposto di tornare in Italia: ci hanno risposto che vogliono rimanere accanto alle loro comunità e condividere il dramma che sta esplodendo a Guayaquil, dove abbiamo visto i cadaveri bruciati nelle strade. E lo stesso vale per l’Etiopia, ma anche per tanti angoli del mondo in cui operano più di 500 religiosi e religiose originari della nostra diocesi. Se oggi siamo seriamente preoccupati per l’Italia, queste finestre sul mondo sono preziose anche perché ci ricordano che altri drammi, ben più spaventosi, rischiano di travolgere Paesi che non possono contare su sistemi sanitari simili al nostro, e in cui rischiamo di non venire nemmeno a sapere quanti saranno i morti. La nostra Chiesa, attraverso i suoi missionari, c’è. Anche loro sono un segno della speranza di cui la Pasqua ci fa ricchi. Anche nel dolore e nella fatica, la Pasqua che viene ci invita a cantare la vittoria dell’amore, della carità, della speranza. Perché ripartire è davvero possibile».

In preghiera col vescovo per il perdono

Tra i tanti “impedimenti” di questo tempo di emergenza sanitaria c’è, per il cristiano, la difficoltà, se non addirittura l’impossibilità, di accostarsi al sacramento della riconciliazione: la confessione o sacramento della penitenza. A fronte di un sincero e profondo pentimento è comunque possibile ricevere il perdono di Dio, impegnandosi a vivere il sacramento della riconciliazione non appena la situazione lo permetta.
Il vescovo Claudio, venerdì alle 12, guida un momento di preghiera trasmesso in diretta dal canale Youtube della Diocesi di Padova (www.youtube.com/c/DiocesiPadovaVideo), per accompagnare i fedeli a un pentimento sincero e ricevere il perdono dei peccati da Dio, con l’impegno a ricorrere al sacramento della riconciliazione (confessione) non appena l’emergenza dovuta alla pandemia lo renderà possibile.

Le celebrazioni del papa, venerdì alle 21 la via Crucis

I riti del Triduo presieduti da papa Francesco vengono trasmessi dal canale Youtube e dalla pagina Facebook di Vatican news in tutto il mondo in differenti lingue e da Tv2000 (canale 28 dtt) e Avvenire.it. La Messa in Coena Domini dalla Basilica vaticana è in programma per Giovedì santo (9 aprile) alle 18. Il Venerdì santo, 10 aprile, alle 18 prende il via la celebrazione della Passione del Signore, mentre alle 21 si tiene la Via Crucis sul sagrato della Basilica di San Pietro con le meditazioni preparate dalla parrocchia del Casa di reclusione Due Palazzi di Padova. Sabato santo, 11 aprile, la Veglia pasquale è in programma alle 21 sempre dalla basilica di San Pietro. Nella domenica di Pasqua, la Messa solenne, al termine della quale papa Francesco impartisce la benedizione solenne Urbi et Orbi, è in programma per le ore 11.

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