L'Italia è una repubblica fondata sulle sanatorie
Di condono in condono, di sanatoria in sanatoria s'è fatta l'Italia e forse, chissà, si farà ancora. Dal 1973 in poi è un susseguirsi di escamotage, deroghe ed aiutini che sanano il misfatto ma non risolvono il problema.
Non si è ancora conclusa la rottamazione delle cartelle che già si pensa alla prossima pace fiscale. Nel grande supermercato delle deroghe e delle sanatorie fiscali, il cambio di stagione è una cosa seria con tanto di saldi e sconti infedeltà.
Converrà di più l'ultimo ripescaggio della rottamazione o la prima chiama della riappacificazione? Se lo stanno domandando un po' tutti, a cominciare dalla grande stampa economica fino al modesto contribuente che, pallottoliere alla mano, cerca di capire come pagare il meno possibile.
Non ci sono più le mezze stagioni e il rischio di passare dall'impermeabile della rottamazione bis — seconda edizione di un provvedimento che consente di sanare i conti con l'erario senza pagare interessi né sanzioni, ma versando il totale dell'imposta dovuta — al cappotto della pace fiscale è concreto. E se poi non dovesse bastare?
Nessun problema, se la storia insegna qualcosa è che fatto un condono prima o dopo se ne farà un altro, magari con un altro nome.
Dal condono fiscale e valutario del triennio 1973 - 1976 fino alla voluntary disclosure del triennio 2015 - 2017 è stato tutto un susseguirsi di sanatorie, scudi, concordati e altri condoni immancabilmente tombali datati 1991 e seguenti.
Come l'autunno inevitabilmente caldo della politica e del lavoro che da quarant'anni a questa parte segna il barometro civile del Paese, verrebbe da chiedersi quando di preciso abbiamo avuto l'ultima stagione regolare del meteo fiscale.
Il condono contributivo «è pericolosissimo, un'operazione suicida — tuona il presidente dell'Inps, Tito Boeri, e sulla pace contributiva rincara la dose — rischia di vanificare i risultati raggiunti finora che sono invece incoraggianti. Indebolirebbe la campagna di contrasto all'evasione e farebbe aumentare le prestazioni perché si matura il diritto ad andare in pensione prima e con importi più elevati».
Se Boeri si allarma, il presidente della Bce Mario Draghi si fa ieratico nel suo spiegare con dovizia di particolari come le troppe chiacchiere di questi mesi abbiano finito per zavorrare le performance dei nostri titoli di stato sui mercati.
Le ciarle costano e a pagare il conto rischia di essere chi, responsabilmente, i suoi debiti li ha sempre onorati con la fregatura di non veder risolto alcuno dei suoi problemi. Perché il sistema non diventa più equo se i più scaltri, fortunati o semplicemente furbi pagano in ritardo e con lo sconto, ma lo diventa se lo stato smette di vessare il cittadino con norme farraginose e trabocchetti burocratici di bassa lega.
Peccato che l'etica e la giustizia del sistema fiscale non si possano facilmente riassumere in un tweet, altrimenti avremmo risolto tutti i nostri problemi. Condono, quello sì che si capisce al volo.