L’eucaristia è molto più di una semplice cena: il memoriale di Gesù Cristo

L’eucaristia è molto più di una semplice cena. Il mistero della morte si fa presente in mezzo a noi e Gesù ci dona la risposta: la Risurrezione. La Cena del Signore: Cena o sacrificio? La pietra e la mensa sono significati inseparabili dell’altare perché indicano il sacrificio del Calvario e la comunione di Cristo con l’umanità intera

L’eucaristia è molto più di una semplice cena: il memoriale di Gesù Cristo

Un’orazione della solennità del Corpus Domini recita: «Signore Gesù Cristo, che nel mirabile sacramento dell’Eucaristia ci hai lasciato il memoriale della tua Pasqua, fa’ che adoriamo con viva fede il santo mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue, per sentire sempre in noi i benefici della redenzione». È importante che noi ci soffermiamo sul termine memoriale, per comprendere cosa succeda sull’altare durante una celebrazione eucaristica. La preghiera eucaristica nasce come espressione poetica con la quale la Chiesa obbedisce al comando di Cristo: «Fate questo come memoriale (zikkaron) di me». Gesù non ha inventato nulla: il gesto di spezzare il pane e di versare vino nel calice, pronunziando una benedizione (berakah), è un gesto che appartiene alla tradizione della liturgia domestica di Israele. Il concetto di zikkaron nasce nell’ebraismo: in esso la celebrazione della Pasqua, nella quale si ricorda la liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù d’Egitto attraverso il rito dell’agnello pasquale, è zikkaron, memoriale di quella prima liberazione e promessa della liberazione futura. In Esodo 12,14 è scritto: «Questo giorno sarà per voi un memoriale (zikkaron); lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne». L’azione di Gesù Cristo s’inserisce in questa tradizione liturgica esistente per trasfigurarla e darle un nuovo significato. Quel gesto ebraico ora assume una valenza nuova: è zikkaron di Gesù, morto e risorto, memoriale. Egli anticipa nei segni del pane e del vino la sua morte e la sua Risurrezione. Non è un semplice ricordo. Nella cena pasquale ebraica, abbiamo il racconto delle gesta di Dio in favore di Israele, e questo non è il ricordo di una storia passata. Il pio Israelita non dice: «Ricordiamo i nostri padri che sono usciti dall’Egitto», ma osa affermare: «Io sono uscito dall’Egitto, io sono entrato nella terra promessa», perché la grazia di Dio rende contemporanei a quell’evento di salvezza, celebra la presenza di Dio che ci porta e ci conduce, il cui agire è presente con noi e in noi. Gesù Cristo ha voluto inserire le sue parole in questo rito antico della Pasqua ebraica. Prima era solo parola. Ora Gesù Cristo osa dare a questa preghiera il significato della sua Pasqua. Un nuovo memoriale ci è proposto; non ricordiamo quello che è avvenuto nel passato, ma per grazia di Dio siamo resi contemporanei a quell’evento che oramai ha superato e distrutto il tempo e lo spazio: la Pasqua di nostro Signore Gesù Cristo.

«L’Eucaristia è molto più che una semplice cena. Il suo prezzo è stato una morte e la maestà della morte è presente in essa. Quando ci accostiamo ad essa deve riempirci il rispetto per questo mistero, il timore davanti al mistero della morte che si fa presente in mezzo a noi. Ma accanto alla morte è presente anche il fatto che essa è stata superata dalla Risurrezione e noi possiamo affrontare questa morte come la festa della vita, come la trasformazione del mondo. In tutti i tempi, fra tutti i popoli gli uomini nelle loro feste hanno cercato di sfondare la porta della morte, perché la morte è la domanda di tutte le domande. L’Eucaristia, la festa cristiana, arriva fino a questa profondità della morte» (J. Ratzinger, Il Dio vicino). Non è un pio intrattenimento, ma il memoriale della morte vinta dal Risorto. Quando il sacerdote dice: «Questo è il mio corpo», il soggetto dell’espressione è Gesù Cristo. Egli in persona Christi, non viene per conto di se stesso, ma di Colui che si unisce alla Chiesa di tutti i tempi, alla sua sposa, nel sacrificio della croce per trascinarla nella gloria della Risurrezione. È il mistero pasquale. Sono sempre attenta a come un sacerdote venera l’altare all’inizio e alla fine della messa: quel gesto mi racconta la sua fede e la sua consapevolezza. Perché l’altare è il punto focale della celebrazione. Possiamo definire l’altare cristiano “la roccia e la mensa”: esso è una roccia levigata, perché lì sopra si deve posare qualcosa. Roccia, come roccia è il calvario. Mensa come è mensa quel tavolo su cui Gesù ha mangiato l’ultimo pasto con i suoi e queste due realtà si fondono insieme. Quella roccia-mensa è il luogo e il simbolo di ciò che Lui, Cristo Signore, ha fatto offrendosi come agnello immolato sull’altare della croce e ciò che lui ha donato nel segno del pasto rituale, l’Eucaristia, presenza reale del suo sacrificio e della sua Gloria. I due elementi della roccia e della mensa sono inseparabili e portano l’annuncio del sacrificio e della comunione: l’altare non è semplicemente una tavola da apparecchiare, perché questo toglierebbe il simbolo del sacrificio di Cristo. Quando celebriamo l’Eucaristia, attorno a quella mensa-altare, siamo nel cenacolo, ma siamo anche sul calvario e incontriamo il Risorto. Evidentemente quel luogo è anche centro di lode, di rendimento di grazie, luogo cioè di elevazione della preghiera. Quindi tre sono gli elementi da evidenziare: lì è il calvario, la roccia; lì è la mensa; lì la preghiera sale a Dio. Durante la celebrazione liturgica l’altare diventa simbolo di Cristo che è altare, vittima e sacerdote. Per questo il sacerdote all’inizio e alla fine della celebrazione lo venera: egli bacia Cristo, non un tavolo o un oggetto, ma il Signore crocifisso e risorto per noi.

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