La comunità ucraina da Padova sostiene il suo Paese. Parla don Ivan Chverenchuk, cappellano della Chiesa ucraina di rito bizantino a Padova

Anche dal Veneto la comunità ucraina manda medicinali e generi di primo soccorso. Don Ivan Chverenchuk invita a pregare per i connazionali che hanno dato la vita, cadendo in guerra, e che hanno lasciato tutto per consegnare agli ucraini un domani di speranza

La comunità ucraina da Padova sostiene il suo Paese. Parla don Ivan Chverenchuk, cappellano della Chiesa ucraina di rito bizantino a Padova

Una giornata di preghiera per chi è rimasto al fronte. È così che la comunità ucraina in Veneto vive questo 24 febbraio,
anniversario dell’inizio dell’invasione. «La comunità ha sentito la voce del nostro patriarca che ha proclamato il primo venerdì di Quaresima come giorno di preghiera e digiuno – spiega don Ivan Chverenchuk, cappellano per la Chiesa ucraina di rito bizantino all’interno della Diocesi di Padova – La prima cosa è la preghiera per tutti, per chi ha dato la vita ed è caduto in guerra, e per la protezione di chi combatte e ha lasciato tutto per il nostro futuro». Inutile negarlo, se possibile quella a cui stiamo assistendo è l’epopea di un popolo che è stato ributtato in un passato che tutta l’Europa era convinta d’essersi lasciata alle spalle. «Adesso la situazione con i profughi è più tranquilla – continua il sacerdote – ci sono difficoltà nelle zone dei combattimenti dove le persone non hanno scelta, non possono scappare e venire qui perché vengono usati come scudo dai russi che non permettono loro di uscire. Non gli permettono neanche di andare in Russia».

E così la Chiesa come tante istituzioni si prodiga per raccogliere aiuti da far arrivare oltreconfine: «C’è bisogno di tutto e quello che possiamo fare, come Chiesa e come comunità lo facciamo – spiega ancora don Ivan – La settimana scorsa, per esempio, abbiamo trovato tre generatori: noi, come è avvenuto sin dai primi giorni, mandiamo aiuti alimentari e ciò che serve per curare i feriti, come gli antidolorifici, ma abbiamo procurato anche due fuoristrada per i nostri ragazzi che combattono. Ci sta aiutando il mondo ma c’è sempre bisogno di generi di primo soccorso. Ci sono giorni in cui vengono due o tre persone, c’è chi porta una spesa, ma non è come prima e lo capiamo perché dopo un anno ci sono altri che hanno bisogno». Se non è l’alba di una Nazione ciò a cui stiamo assistendo è sicuramente una di quelle stagioni nelle quali sulla devastazione di una guerra si va edificando l’identità di un popolo, di una comunità e anche di una Chiesa. Non sono passati che pochi giorni da quando l’arcivescovo di Kiev, Svjatoslav Ševčuk, ha trasmesso ai fedeli la svolta storica: la Chiesa greco-cattolica ucraina festeggerà il Natale il 25 dicembre e non più il 7 gennaio, data che l’accomunava agli ortodossi. «La guerra ha accelerato il processo di decisione» ha spiegato Ševčuk aggiungendo che il cambio del calendario partirà dal prossimo primo settembre. E mentre la Chiesa si organizza nelle sue istituzioni più alte, nel piccolo delle parrocchie e delle sagrestie il lavoro si fa incessante per raccogliere aiuti, ordire la trama di una resistenza capillare alla rassegnazione. «C’è gran bisogno di pastiglie accendi-fuoco, farmaci per i bambini, pannolini – conclude don Ivan Chverenchuk ma la lista della spesa sarebbe ancora lunga – E poi se qualcuno ha bisogno di qualunque cosa, cerchiamo di aiutarlo».

Gli Usa hanno dato 15 miliardi di euro all’Ucraina

L’Unione Europea ha speso 30 miliardi di euro in aiuti economici e finanziari, altri 18 sono stati stanziati per il 2023, a cui vanno aggiunti quelli dei singoli Paesi membri. L’Estonia, per esempio, ha donato addirittura l’1 per cento del proprio Pil.

Aziende e medici disposti a intervenire in Ucraina

Come sta andando la raccolta di aiuti per le popolazioni ucraine? Marco Toson è in prima linea dall’inizio dell’emergenza attraverso la sua fondazione Hope Ukraine, che ha aperto il suo hub nel quartiere Montà a Padova. «La fondazione è nata un mese dopo l’inizio della guerra ed è diventata centrale tanto per il coordinamento dell’accoglienza dei rifugiati, quanto per raccogliere i beni e distribuirli in tutto il territorio ucraino – spiega il presidente Toson – La base di Hope è su Padova ma abbiamo creato quattro poli logistici con Palmanova, Verona e Gorizia per raccogliere materiali col sistema Protezione civile e indirizzarli su territorio ucraino». Operazione non semplice, come racconta lo stesso presidente di Hope, complicata certo dalla guerra ma dovuta spesso a una mancanza di logistica sul territorio: «Io personalmente sono in Ucraina da 22 anni, abbiamo una base operativa a Kiev e una rete costruita dal mio lavoro sul campo che può contare su 22 uffici presenti su tutto il territorio, coprendo tutte le regioni – continua Marco Toson – C’è “un’impreparazione” al territorio ucraino: tante ong erano storicamente concentrate in Medio Oriente o in specifiche zone dell’Africa e si è reso necessario un percorso di adattamento al sistema organizzativo ucraino i cui frutti iniziano a vedersi solo in un tempo più recente». Alle difficoltà si assommano poi le necessità burocratiche, il necessario rapporto con il governo locale e con le sue istituzioni, oltreché la necessità di avere un contatto diretto tanto per raccogliere le esigenze del territorio quanto per riportarle in Italia e utilizzarle per indirizzare gli aiuti. «La prima fase è stata contrassegnata dall’emergenza e dalla grande comunicazione: tutti si son messi a dare un aiuto, anche disorganizzato – conclude Marco Toson – Poi c’è stato un appiattimento delle donazioni, nella seconda fase, in cui solo alcune associazioni hanno continuato a lavorare in maniera costante e adesso con l’avvicinarsi dell’anniversario dell’inizio del conflitto, le iniziative hanno ripreso a funzionare. E sempre più aziende e medici si rendono disponibili a intervenire direttamente sul territorio».

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