La memoria delle cellule. Una ricerca sul recupero della "memoria cellulare" (cellule staminali) a fini terapeutici

È possibile che le nostre singole cellule conservino una sorta di "memoria biologica"?

La memoria delle cellule. Una ricerca sul recupero della "memoria cellulare" (cellule staminali) a fini terapeutici

Possedere una buona memoria, spesso, ci aiuta a vivere meglio e più intensamente. Ciò vale ovviamente per la nostra mente. Ma è possibile che anche le nostre singole cellule conservino una sorta di “memoria biologica”? In altre parole, quando le cellule invecchiano, sono in grado di “ricordare” come funzionavano da giovani ed essere indotte a ritornare a quello stadio?
A questo interrogativo ha cercato di dare risposta una recente ricerca, condotta da un gruppo di scienziati della Harvard Medical School di Boston (Usa). Lo studio (pubblicato su “Nature”) descrive un esperimento condotto su topi, nel quale i ricercatori sono riusciti a ripristinare parzialmente la vista in esemplari murini che l’avevano persa con l’età, oppure a causa di una condizione molto simile al glaucoma (un tipo di malattia oculare). Come? Riprogrammando le cellule della retina di questi topi, con la conseguenza di renderle nuovamente capaci di resistere ai danni e di rigenerarsi, proprio come facevano in tenera età.

Per ottenere questi risultati, gli studiosi si sono focalizzati sul cosiddetto “epigenoma”, ovvero l’insieme di quei processi che regolano l’espressione dei geni nel Dna e che consentono alle istruzioni genetiche di essere lette nei tessuti giusti e nel momento più opportuno. La ragione di questo approccio risiede nell’ipotesi che i tratti distintivi dell’invecchiamento – e, di conseguenza, anche gli strumenti per contrastarlo – risiedano proprio nell’epigenoma; quest’ultimo, contrariamente al codice genetico dell’individuo, che è lo stesso per ogni cellula, varia da tessuto a tessuto, nel corso del tempo e anche in risposta agli stimoli ambientali.

Gli scienziati, coordinati dal genetista Yuancheng Lu, hanno in pratica provato a ringiovanire una popolazione di neuroni della retina dei topi, inserendo nel loro occhio i geni responsabili di tre fattori di riprogrammazione, la cui funzione è di regolare l’espressione genica (leggere le istruzioni del Dna per produrre proteine). I tre fattori scelti, ben conosciuti dagli scienziati da oltre un decennio, vengono solitamente usati per trasformare le cellule adulte in cellule pluripotenti indotte (iPSC), ovvero cellule staminali in grado di differenziarsi in quasi tutti i tessuti dell’organismo, in modo del tutto simile a quelle di un embrione.

Le cellule della retina (cellule gangliari retiniche) su cui si è scelto di intervenire trasmettono al cervello le informazioni visive usando dei prolungamenti – detti “assoni” – che costituiscono il nervo ottico. Gli esperti sanno bene che, negli embrioni di topo o nei topi appena nati, queste cellule sono capaci di rigenerarsi se danneggiate; ma questa capacità è destinata a scomparire con la crescita. I ricercatori della Harvard Medical School, dunque, usando un virus inattivato come vettore, hanno iniettato i fattori di riprogrammazione nell’occhio di topi con nervo ottico danneggiato. I geni introdotti hanno permesso ad alcune cellule della retina danneggiate di non morire, stimolando al tempo stesso la crescita di nuovi assoni. Più in dettaglio, il trattamento è intervenuto sulla “metilazione”, un’alterazione biochimica del Dna, che cambia con l’età e che controlla l’espressione dei suoi geni. Lo stesso approccio è stato testato in topi con una condizione simile alla fase iniziale del glaucoma; questa patologia, nella sua forma più comune, provoca l’accumulo di pressione nell’occhio, danneggiando così il nervo ottico, e costituisce una delle principali cause di perdita grave della vista legate all’età.

Ebbene, dopo il trattamento, gli animali hanno riguadagnato quasi la metà dell’acuità visiva persa, a dimostrazione della possibilità di recupero – e non solo di arresto – della perdita della vista legata al glaucoma. In esperimenti successivi, i fattori di riprogrammazione hanno poi permesso di riportare l’acuità visiva di topi in salute e “di mezza età” allo stesso livello di quella di topi più giovani.

Pertanto, i ricercatori hanno potuto concludere che le singole cellule trattengono una qualche memoria del loro passato epigenetico, anche se non è ancora chiaro dove questo ricordo sia conservato. I prossimi passaggi sperimentali, ora, serviranno per capire se quanto scoperto per i topi valga anche in altri modelli animali, e quanto a lungo venga conservata questa “seconda giovinezza” cellulare.

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Fonte: Sir