La pandemia aggrava il divario di genere nel mondo del lavoro. “Donne penalizzate”

In una nota congiunta, il Ministero del Lavoro, Anpal e Banca d’Italia fanno il punto sul mercato del lavoro. “Ripresa del 2021 ha favorito l’occupazione maschile. Lavoratrici penalizzate da una minore domanda di lavoro di tipo permanente”

La pandemia aggrava il divario di genere nel mondo del lavoro. “Donne penalizzate”

“Non si sono ancora riassorbiti i divari di genere alimentati dalla pandemia”. Ad affermarlo è una nota congiunta del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, della Banca d’Italia e dell’Anpal in base ai dati aggiornati al 31 dicembre 2021. Secondo la nota, la ripresa del 2021 “ha favorito l’occupazione maschile, tornata sul sentiero di crescita del 2018-19”, mentre rimangono “ancora ampi i margini di recupero per quella femminile il cui andamento mostrava segnali di relativa debolezza già prima dell’emergenza sanitaria”. Lavoratrici che inoltre continuano ad essere penalizzate da una minore domanda di lavoro di tipo permanente. “Nonostante rappresentino circa il 42 per cento della forza lavoro - spiega la nota -, incidono solo per un terzo sul saldo delle posizioni a tempo indeterminato”. I dati resi noti oggi, lunedì 17 gennaio, tuttavia, nel complesso fanno ben sperare. Secondo la nota, nel 2021 l’andamento delle posizioni di lavoro alle dipendenze “si è rafforzato. Da giugno il numero di contratti attivati è tornato sui livelli prevalenti prima dello scoppio della pandemia - si legge nel documento - e, negli ultimi mesi dell’anno, ha quasi raggiunto il sentiero di crescita che si sarebbe registrato se l’evoluzione della domanda di lavoro si fosse mantenuta, anche durante l’emergenza sanitaria, sugli stessi ritmi del periodo 2018-19”. Al netto delle cessazioni, nel 2020-21 sono stati attivati circa 560 mila nuovi posti di lavoro alle dipendenze, rispetto ai 605 mila del biennio precedente. Un trend che tuttavia risente del “basso numero di cessazioni, ancora contenuto dal ricorso diffuso agli strumenti emergenziali di integrazione salariale, di cui è previsto il graduale superamento nel 2022”.  Per quanto riguarda la tipologia dei posti di lavoro creati, risulta sostenuta soprattutto nei contratti a tempo determinato (365.000 su circa 597.000 posti di lavoro). Tuttavia, si legge nella nota, “anche il saldo delle posizioni permanenti è cresciuto, seppur a ritmi più moderati”. Come già detto, infine, è il basso numero dei licenziamenti ad aver caratterizzato il periodo pandemico. Secondo la nota, “i licenziamenti sono rimasti su livelli mediamente modesti” e gli incrementi registrati nei mesi immediatamente successivi alla rimozione dei vari blocchi “appaiono avere natura temporanea e verosimilmente riflettono esuberi già previsti nei mesi precedenti”.  È il Mezzogiorno ad aver risentito in misura più limitata dell’emergenza sanitaria, si legge infine nella nota. “Nella media del periodo 2020-21, il Sud e le Isole hanno registrato tassi di crescita superiori a quelli, molto contenuti, del biennio precedente - continua il documento -. Il miglioramento riflette però esclusivamente il calo delle cessazioni determinato dalle misure governative (blocco dei licenziamenti, estensione degli strumenti di integrazione salariale), che hanno prolungato la durata effettiva dei contratti, generalmente inferiore in queste aree”. Tuttavia, le assunzioni a tempo indeterminato, nel Sud Italia, “continuano a crescere più lentamente rispetto al Centro Nord”. 

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)