La “peste dei suini” spaventa tutti. Con la nuova malattia è a rischio un comparto miliardario

Scattano le misure di emergenza, ma è mancata la prevenzione.

La “peste dei suini” spaventa tutti. Con la nuova malattia è a rischio un comparto miliardario

Peste suina africana (Psa per gli addetti ai lavori). Malattia si direbbe d’altri tempi e, invece, tremendamente attuale. Peste vera, contagiosissima, che non lascia quasi scampo. Peste che – diciamolo subito -, non colpisce l’uomo ma gli animali e i suini in particolare. La Psa è l’incubo degli allevatori, ma in effetti un po’ di tutto il comparto della suinicoltura in tutto il mondo: quando arriva è necessario correre subito ai ripari, essere severi nell’applicazione delle norme. Che poi si condensano in una sola indicazione: fare terra bruciata attorno ai focolai della malattia. Perché il virus corre velocissimo da un animale all’altro, e resiste per anni anche sui prodotti trasformati e, perfino, al gelo; viene vinto solo dalla cottura e da alcuni disinfettanti.

La Psa è ricomparsa in Italia (in Piemonte e in Liguria, per ora) e ha immediatamente fatto sentire i suoi effetti. Ricordando a tutti quanto il settore agroalimentare sia ricco ma anche altrettanto fragile e bisognoso di tutte le attenzioni possibili.

Tutto è iniziato qualche giorno fa, quando nelle aree boschive a cavallo tra le due regioni del nord della Penisola sono stati trovati nel giro di poche ore quattro cinghiali morti infettati dal virus. Allarme immediato, prima a livello locale e, poi, in tutto il Paese. In 114 comuni dichiarati “area infetta” è stata vietata la caccia (il divieto in realtà riguarda aree anche più estese). E vietati sono anche la raccolta dei funghi e tartufi, la pesca, il trekking, il mountain bike e le altre attività che possono portare alla interazione diretta o indiretta con i cinghiali che sono il veicolo principale di diffusione della malattia. Grande attenzione, inoltre, deve essere fatta per tutte le operazioni di trasporto e di movimentazione degli animali, di mangimi, prodotti e persone. Divieti severi, che rimarranno per sei mesi e che verranno fatti rispettare non solo dai funzionari delle Asl ma anche dalle forze dell’ordine. Ma perché tutto questo allarme?

I motivi sono fondamentalmente di due ordini. Prima di tutto la grande pericolosità della malattia. La Psa non solo corre veloce, come si è detto, ma è estremamente feroce: oltre il 90% degli animali infettati muore. E ad essere colpiti non sono solo i cinghiali ma soprattutto i suini allevati. La Peste suina africana mette seriamente in pericolo – e con grande rapidità -, il futuro degli allevamenti suinicoli di intere aree e, con questi, la produzione di salumi e prosciutti. Ecco perché i divieti devono scattare velocemente e devono riguardare anche lo spostamento dei prodotti che derivano dagli allevamenti. Per capire meglio cosa significa tutto questo in termini economici, basta sapere che le vendite all’estero di prodotti suinicoli italiani sono arrivate ad un valore che nel 2021 è stato pari a 1,7 miliardi di euro. Una ricchezza importante, quindi, che significa non solo buoni prodotti ma lavoro e benessere per decine e decine di migliaia di persone. Che da un giorno all’altro rischiano davvero di perdere tutto. E non basta. La Psa scatena immediatamente forti speculazioni commerciali da una parte e altrettanto forti restrizioni di mercato dall’altra. Se in Italia le aree infette sono state praticamente isolate, nel mondo molti Stati stanno facendo la stessa cosa con l’Italia. In questi giorni, appena la notizia è circolata, Svizzera, Kuwait e in Oriente Cina, Giappone e Taiwan hanno immediatamente adottato forti restrizioni all’entrata dei prosciutti e dei salami italiani nei loro mercati. Mentre le associazioni dei produttori hanno già denunciato casi di giochi al ribasso sui contratti firmati oppure la sospensione degli stessi. Per tutti vale l’indicazione di Assica, l’associazione che riunisce gli industriali del settore, che ha spiegato come il blocco delle esportazioni per un mese comporti un danno pari a 20 milioni di euro. Ci salva solo una condizione: la gran parte delle vendite all’estero finisce in Europa i cui Stati applicano blocchi selettivi e non generalizzati.

Ecco perché l’intera filiera della produzione suinicola è in allarme. Ed ecco perché tutti si sono dati subito da fare per contenere il contagio della “peste dei suini”. Coldiretti, Confagricoltura e Cia-Agricoltori Italiani, tuttavia, puntano il dito su un errore che è stato commesso: l’Italia non ha messo mano a regole nuove per disciplinare meglio la caccia e, soprattutto, per contenere il dilagare degli animali e dei cinghiali in particolare. Il contagio, infatti, passa da loro. La prevenzione, quindi, pare essere anche in questo caso il miglior strumenti sanitario. Anche per l’economia.

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Fonte: Sir