La scuola ha bisogno più di investimenti che di grembiulini. Divisa o espediente?

Quante volte si è discusso di questo tema, naturalmente senza mai arrivare a un punto fermo.

La scuola ha bisogno più di investimenti che di grembiulini. Divisa o espediente?

Prendiamo qualche notizia, qua e là, sul tema scuola. Notizie di quelle che rimbalzano sui media, naturalmente anzitutto digitali, ma non solo. Curiosando viene fuori un po’ di tutto: dall’amenità francese delle pecore iscritte a scuola per evitare la chiusura di una classe – in un plesso di montagna, in difficoltà per il calo demografico – alle polemiche immancabili, tutte italiane, sulla bontà o meno del “grembiulino”, della divisa da portare in classe. Polemiche e discussioni innescate questa volta dal un ministro “pesante” come quello dell’Interno – Matteo Salvini – alle quali non si è sottratto lo stesso titolare di Viale Trastevere, Marco Bussetti, ricordando che lui i grembiulini li portava e aggiungendo: “Credo che permettano, dal punto di vista dell’inclusione sociale, di far sì che tutti gli studenti e i nostri alunni possano sentirsi a miglior agio all’interno delle classi”.

Il ministro Salvini aveva spiegato: “Abbiamo appena reintrodotto l’educazione civica a scuola e vorrei che tornasse anche il grembiule per evitare che vi sia il bambino con la felpa da 700 euro e quello che ce l’ha di terza mano perché non può permettersela. Ma sento già chi griderà allo scandalo ed evocherà il duce, ma un Paese migliore si costruisce anche con ordine e disciplina”.
Quante volte si è discusso di questo tema, naturalmente senza mai arrivare a un punto fermo.

E forse è meglio così. Interessante il “ripescaggio”, da parte di un quotidiano, di quello che diceva in proposito uno scrittore come Gianni Rodari, nel 1968. Sul grembiulino come espediente per evitare le umiliazioni ai più poveri, spiegava: “Questo ragionamento non mi convince. La povertà va abolita, non nascosta. Bambini con le toppe nei pantaloni non dovrebbero essercene più, ecco tutto” E riflettendo sull’opinione di chi sosteneva (allora come oggi) che “il grembiulino aiuta la disciplina” e che non si potrebbe pensare, ad esempio, un esercito senza divisa, aggiungeva: “Nemmeno questo ragionamento mi convince: la scuola non è una caserma. E sulla disciplina bisogna intendersi bene: secondo me una classe non è veramente disciplinata quando ascolta immobile e impassibile le spiegazioni del maestro, pena un brutto voto in condotta, ma quando sta facendo una cosa interessante, così interessante che a nessuno viene in mente di guardare dalla finestra, o di tirare le trecce alle bambine, o di leggere un fumetto sotto il banco. Un grembiule o magari una bella tuta da lavoro, mi sembra indispensabile se si fa giardinaggio, se si usa la macchina per stampare (molte scuole al usano), se si fanno pitture con grandi pennelli, per non sporcarsi. Cioè. Accetto il grembiule dove e quando è utile e necessario. Come simbolo di uguaglianza, disciplina, eccetera non lo capisco”.

Parole di tanti anni fa, che fanno riflettere ancora oggi.

Così come vale la pena di riflettere su un’altra notizia dal mondo della scuola: risorse per 120 milioni di euro per la messa in sicurezza e l’adeguamento sismico degli edifici scolastici, previste da un decreto accelerare gli interventi nelle scuole delle quattro Regioni colpite dagli eventi sismici del 2016 e del 2017 (Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria). Qui usciamo dalle “curiosità” per entrare nel campo serissimo degli investimenti. E lo sanno tutti: di questi (per l’edilizia, ma non solo), più che dei grembiulini, ha bisogno la scuola italiana.

Alberto Campoleoni

Prendiamo qualche notizia, qua e là, sul tema scuola. Notizie di quelle che rimbalzano sui media, naturalmente anzitutto digitali, ma non solo. Curiosando viene fuori un po’ di tutto: dall’amenità francese delle pecore iscritte a scuola per evitare la chiusura di una classe – in un plesso di montagna, in difficoltà per il calo demografico – alle polemiche immancabili, tutte italiane, sulla bontà o meno del “grembiulino”, della divisa da portare in classe. Polemiche e discussioni innescate questa volta dal un ministro “pesante” come quello dell’Interno – Matteo Salvini – alle quali non si è sottratto lo stesso titolare di Viale Trastevere, Marco Bussetti, ricordando che lui i grembiulini li portava e aggiungendo: “Credo che permettano, dal punto di vista dell’inclusione sociale, di far sì che tutti gli studenti e i nostri alunni possano sentirsi a miglior agio all’interno delle classi”.
Il ministro Salvini aveva spiegato: “Abbiamo appena reintrodotto l’educazione civica a scuola e vorrei che tornasse anche il grembiule per evitare che vi sia il bambino con la felpa da 700 euro e quello che ce l’ha di terza mano perché non può permettersela. Ma sento già chi griderà allo scandalo ed evocherà il duce, ma un Paese migliore si costruisce anche con ordine e disciplina”.
Quante volte si è discusso di questo tema, naturalmente senza mai arrivare a un punto fermo. E forse è meglio così. Interessante il “ripescaggio”, da parte di un quotidiano, di quello che diceva in proposito uno scrittore come Gianni Rodari, nel 1968. Sul grembiulino come espediente per evitare le umiliazioni ai più poveri, spiegava: “Questo ragionamento non mi convince. La povertà va abolita, non nascosta. Bambini con le toppe nei pantaloni non dovrebbero essercene più, ecco tutto” E riflettendo sull’opinione di chi sosteneva (allora come oggi) che “il grembiulino aiuta la disciplina” e che non si potrebbe pensare, ad esempio, un esercito senza divisa, aggiungeva: “Nemmeno questo ragionamento mi convince: la scuola non è una caserma. E sulla disciplina bisogna intendersi bene: secondo me una classe non è veramente disciplinata quando ascolta immobile e impassibile le spiegazioni del maestro, pena un brutto voto in condotta, ma quando sta facendo una cosa interessante, così interessante che a nessuno viene in mente di guardare dalla finestra, o di tirare le trecce alle bambine, o di leggere un fumetto sotto il banco. Un grembiule o magari una bella tuta da lavoro, mi sembra indispensabile se si fa giardinaggio, se si usa la macchina per stampare (molte scuole al usano), se si fanno pitture con grandi pennelli, per non sporcarsi. Cioè. Accetto il grembiule dove e quando è utile e necessario. Come simbolo di uguaglianza, disciplina, eccetera non lo capisco”.
Parole di tanti anni fa, che fanno riflettere ancora oggi.
Così come vale la pena di riflettere su un’altra notizia dal mondo della scuola: risorse per 120 milioni di euro per la messa in sicurezza e l’adeguamento sismico degli edifici scolastici, previste da un decreto accelerare gli interventi nelle scuole delle quattro Regioni colpite dagli eventi sismici del 2016 e del 2017 (Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria). Qui usciamo dalle “curiosità” per entrare nel campo serissimo degli investimenti. E lo sanno tutti: di questi (per l’edilizia, ma non solo), più che dei grembiulini, ha bisogno la scuola italiana.

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Fonte: Sir