La “sfida” che uccide. Garante infanzia: “Anche il ritiro sociale incide”

Intervista a Carla Garlatti: “Ai ragazzi manca educazione digitale e gli adulti devono dare l'esempio: non sovraesporre se stessi e i propri figli, si esiste anche senza apparire”. La pandemia ha reso invisibili i ragazzi? “Già lo erano. Ora stanno alzando la voce e dobbiamo ascoltarli”

La “sfida” che uccide. Garante infanzia: “Anche il ritiro sociale incide”

“La rete fa parte della vita dei ragazzi, la realtà virtuale appartiene alla loro esistenza. Manca però un'educazione digitale adeguata, ai ragazzi ma anche agli adulti. E questo può fare della rete uno strumento pericoloso, perfino mortale”. Carla Garlatti è Garante nazionale dei diritti dell'Infanzia e dell'adolescenza. A lei abbiamo chiesto un'analisi del rapporto, complesso e a volte drammatico, tra i giovani e la rete, che ieri si è espresso nella sua drammaticità con l'ennesima “sfida”, rivelatasi fatale per una bambina di 10 anni.

Dal suo punto di vista, esiste un problema di “diritti negati” nel rapporto che i più giovani hanno con la rete?
Io credo di no, penso che la risposta di bambini e ragazzi a queste sfide social non avvenga in un contesto di diritti mancati o violati. Credo che la dimestichezza con la rete faccia parte della loro vita: i giovani sono cresciuti in un mondo di cui la rete fa parte, come strumento di apprendimento, di gioco, di scambio, di relazione. Certo, la pandemia ha accentuato, con effetti anche negativi e risvolti particolari, la tendenza a trascorrere troppo tempo sui social.

Allora qual è il problema? Come può uno strumento di comunicazione trasformarsi in una trappola mortale?
La criticità risiede nell'inadeguatezza e nell'insufficienza dell'educazione digitale che viene impartita ai ragazzi: bisogna insegnar loro, con chiarezza, che la vita virtuale non è vita reale. E questo messaggio deve arrivare al cuore dei ragazzi, ma deve raggiungere anche gli adulti, che per primi devono offrire esempi adeguati. Sono proprio loro invece, gli adulti, a fare spesso esempi sbagliati e fuorvianti. Tanti di loro tendono a sovraesporre se stessi e i propri figli, dando l'impressione che una cosa (una gita, per esempio) non sia stata fatta fin quando non venga postata. In questo modo, ai ragazzi viene consegnato il messaggio che per esistere si debba apparire.

La riduzione delle relazioni e delle esperienze, dovuta alla pandemia, genera un isolamento dei giovani in cui i social trovano terreno fertile. Pensa che esista questa correlazione?
Il ritiro sociale esiste, non c'è dubbio: da molto tempo è stato evidenziato da psicologi e psichiatri, ben prima della pandemia. Il fenomeno noto come “hikikomori” non è ancora rilevante in Italia, ma pure inizia a manifestarsi. Esiste, in questo contesto, il pericolo che la vita sociale e le amicizie si sviluppino solo attraverso il computer e si riducano in una ricerca di amicizie virtuali, 'follower' e 'like'. Con una pandemia mondiale, questo ritiro sociale può aggravarsi, specialmente in chi già ha una predisposizione all'isolamento. Anche in questo caso, entrano in gioco i genitori e gli educatori, che possono e devono fornire stimoli per spostare l'attenzione dei ragazzi dal computer al dialogo.
Alcuni sostengono che soprattutto gli adolescenti, con la pandemia, siano divenuti invisibili. Cosa ne pensa?
Gli adolescenti sono spesso invisibili, indipendentemente dalla pandemia. In questo momento, stanno anche facendo sentire la loro voce e io ritengo che questo sia un fatto molto positivo, perché ci dice che i ragazzi hanno ancora la capacità di reazione. A questo punto, però, bisogna anche ascoltarli. 

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)