Le conseguenze psico-patologiche della pandemia. Uno studio su "The Lancet" tenta di quantificare la prevalenza e il peso dei disturbi depressivi

Sono stati i soggetti giovani a portare il peso maggiore delle conseguenze psicologiche (depressione e ansia) della pandemia.

Le conseguenze psico-patologiche della pandemia. Uno studio su "The Lancet" tenta di quantificare la prevalenza e il peso dei disturbi depressivi

Gli ultimi dati ufficiali dell’OMS riportano, dall’inizio della pandemia da covid-19 ad oggi, 239.437.517 casi d’infezione confermati. Di questi, ben 4.879.235 hanno esitato nella morte. Cifre sconvolgenti e, purtroppo, non ancora definitive, dato il perdurare della pandemia stessa. Ma questi impressionanti numeri riguardano soltanto i danni al “corpo”. Ad essi andrebbero aggiunti quelli alla “mente”, anch’essi sicuramente numerosi ma, finora, non adeguatamente contabilizzati né studiati. Non è stata ancora effettuata, infatti, un’analisi globale significativa del tributo psicologico pagato alla pandemia in tutto il mondo. Certamente è stato osservato un notevole aumento dei casi di depressione e ansia, conseguenti alla pandemia e ai suoi condizionamenti, ma la mancanza di dati condivisi rende difficile una stima attendibile, soprattutto in alcuni paesi o, addirittura, interi continenti (Africa e Sud America).

Tuttavia, nonostante tali lacune, un gruppo di ricercatori, in gran parte formato da studiosi dell’Università del Queensland (Australia), ha provato a fare una stima relativa al 2020. Si tratta del primo studio (pubblicato su “The Lancet”) che tenta di quantificare la prevalenza e il peso dei disturbi depressivi e d’ansia per età, sesso e posizione a livello globale. Con quali risultati? Anche a questo livello, purtroppo, i numeri sono devastanti: si stima che l’anno scorso i casi di disturbi depressivi e d’ansia siano aumentati di più di un quarto rispetto alla consueta media!
Secondo il modello adottato dai ricercatori, se la pandemia non fosse avvenuta, in tutto il mondo si sarebbero verificati 193 milioni di casi di disturbo depressivo maggiore; in realtà, se ne sono verificati ben 246 milioni (53 milioni di casi in più), corrispondenti ad un aumento del 28%. Per ciò che concerne i disturbi d’ansia, il numero di casi previsto era di 298 milioni, mentre se ne ipotizzano in realtà 374 milioni (76 milioni di casi in più), con un incremento del 26%.
E dato che, di solito, i casi tanto di depressione quanto di ansia risultano stabili di anno in anno, questi bruschi aumenti, evidentemente, non possono essere derubbricati come fluttuazioni di routine. “Si tratta sicuramente – afferma Damian Santomauro, del Queensland Center for Mental Health Research, School of Public Health all’Università del Queensland, autore principale dell’articolo – di uno shock al sistema rispetto a quello che siamo tipicamente abituati a vedere quando si tratta della prevalenza di questi disturbi”.

Dall’analisi più dettagliata dei dati disponibili, poi, risulta che donne e giovani siano quelli più colpiti. Durante il primo anno di covid-19, infatti, per l’ansia sono stati registrati quasi 52 milioni di casi aggiuntivi tra le donne, a fronte di 24 milioni tra gli uomini. Ma sono stati i soggetti giovani a portare il peso maggiore delle conseguenze psicologiche (depressione e ansia) della pandemia. La categoria più “ferita” è stata la fascia di età tra i 20 e i 24 anni, con una stima di 1.118 casi di depressione aggiuntivi ogni 100.000 persone, e 1.331 casi d’ansia in più ogni 100.000 persone. “Speriamo che questi risultati – aggiunge Alize Ferrari, tra i ricercatori dell’Università del Queensland – incoraggino un maggiore dialogo tra politici, governanti, ricercatori e persone che considerano l’allocazione delle risorse e la pianificazione delle risposte per la salute mentale”.

Per compensare i dati mancanti ed ottenere così una stima attendibile dei livelli globali di disturbi depressivi e d’ansia, il gruppo di ricerca si è basato su altri dati messi insieme da 48 studi effettuati in Europa occidentale, parti del Nord America, Australasia e altre regioni che avevano dati sulla salute mentale. In concreto, i ricercatori sono riusciti a collegare statisticamente i dati (riguardanti ben 204 paesi) sulla depressione e l’ansia agli “indicatori di impatto COVID-19”, i tassi di infezione per paese e gli indicatori che tracciano i diminuiti movimenti della popolazione. Proprio la relazione statistica tra gli indicatori di impatto e i dati sulla salute mentale, analizzati per il Nord America e altre regioni, è servita come modello per estrapolare le stime mancanti circa i disturbi depressivi e d’ansia per i molti paesi che non avevano quei dati. Gli indicatori di impatto, infatti, sono disponibili per quasi tutte le nazioni.
Naturalmente, questo studio sarà portato avanti fino alla fine della pandemia, quando i dati verranno integrati nel più ampio studio “Global Burden of Disease”, effettuato dall’Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME) dell’Università di Washington. Quello che è certo è che le conseguenze del covid-19 per la salute mentale permarranno a lungo, anche dopo che sarà ufficialmente dichiarata la fine della pandemia.

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Fonte: Sir