Lo strano caso dell’Uomo Elefante e la scoperta dell’umanità di un “fenomeno da baraccone”
A quasi 100 anni dalla pubblicazione delle sue memorie, Adelphi manda in stampa il più celebre dei casi trattati dal chirurgo inglese Frederick Treves: la vicenda di John Merrick, colpito da una rarissima malattia caratterizzata dalla crescita abnorme degli arti e del capo, nota al grande pubblico grazie al film di David Linch
Come recita Wikipedia, Frederick Treves è stato un medico e chirurgo inglese, molti aspetti della cui vita privata e professionale ci sono noti grazie alle pagine della sua autobiografia “The Elephant Man and other reminiscences”. A quasi 100 anni dalla pubblicazione delle sue memorie, Adelphi manda in stampa per la collana Microgrammi “L’uomo Elefante”, sicuramente il più celebre dei casi clinici trattati dal dottore del London Hospital, all’epoca uno dei principali nosocomi europei.
La storia dell’Uomo Elefante è conosciuta al grande pubblico grazie soprattutto al fortunato film di David Linch, che consacrò al successo Anthony Hopkins proprio nei panni del chirurgo Treves. La storia, che ora abbiamo la possibilità di leggere nella traduzione di Matteo Codignola, racconta l’incontro tra il medico britannico e John Merrick, affetto da una rarissima malattia, probabilmente la sindrome di Proteo, caratterizzata dalla crescita abnorme degli arti e del capo, cosa che valse al giovane 21enne l’epiteto di Uomo Elefante, mettendolo alla mercé di uno spregiudicato impresario. Siamo nel 1884, in piena epoca vittoriana: i cosiddetti “fenomeni da baraccone”, personaggi dalle caratteristiche fisiche più singolari, attirano folle di curiosi disposti a pagare il biglietto per assicurarsi qualche minuto di stupore.
“Tutta la facciata, a eccezione della porta, era coperta da un telo, dove si leggeva che all’interno, pagando due penny, si sarebbe potuto vedere l’Uomo Elefante”, scrive il chirurgo. Una “creatur2» che Treves non esita a definire “spaventevole, uscita dritta da un incubo». E rincara la dose, sottolineando come questo strano essere non susciti “la compassione che inducono gli esseri malformati, abortiti, né il sogghigno che a volte provocano gli scherzi di natura: lasciava semmai intendere qualcosa di più semplice e disgustoso, e cioè che un nostro simile, sotto i nostri occhi, si stava trasformando in un animale”.
Attratto da quello strano fenomeno, che si propone di studiare, il chirurgo riesce a condurre Merrik al London Hospital, dove il giovane, abituato a una vita di stenti e di umiliazioni, troverà finalmente ospitalità e cure compassionevoli. Mentre Treves e il personale medico e infermieristico, che lavora all’interno dell’ospedale, scopriranno presto che, dietro a quelle sembianze “straordinarie”, si cela non solo un essere umano perfettamente capace di intendere e di volere, ma anche dotato di grande gentilezza, curiosità, gratitudine. Ed è proprio la scoperta dell’uomo ciò che colpisce di più di questo resoconto clinico: presto Merrik si rivelerà un lettore incallito, un inguaribile romantico, un essere affamato di bellezza e di vita. Ma anche di quella normalità che il destino gli ha irrimediabilmente sottratto.
“Assistere a questo cambiamento è stata un’esperienza straordinaria, che non ha mai smesso di affascinarmi”, chiosa il chirurgo, ricordando la trasformazione in essere umano della “creatura primitiva” dei primi tempi. A ricordarci di come un cambio di sguardo sia sufficiente a cambiare le cose.
(La recensione è tratta dal numero di luglio di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)
Antonella Patete