Mytutela, la prima app antibullismo digitale
Uno strumento che aiuterà le vittime, prima ancora che le forze di polizia e l’autorità giudiziaria, a creare le prove in caso di reati contro le donne o i minori.
È la prima app al mondo che permette di fare direttamente una copia forense dei dati sul cellulare. Foto, messaggi, email, chat su whatsapp. Tutto il materiale necessario ad inchiodare stalker, bulli, maltrattatori.
Si chiama Mytutela ed è stata presentata al tavolo permanente inter-istituzionale per la prevenzione e il contrasto della violenza nei confronti delle donne e dei minori, tenutosi presso il tribunale di Roma. Un progetto che parte nella capitale ma che ha l’aspirazione di essere utilizzato anche all’estero: i parametri di acquisizione e conservazione delle prove sono stati studiati infatti per essere validi anche per i sistemi giudiziari di molti paesi del mondo.
Completamente gratuita, l’app è stata ideata da un ingegnere elettronico e da un tecnico informatico, entrambi consulenti di procure e tribunali, insieme a una esperta di social network. Sarà uno strumento che aiuterà le vittime, prima ancora che le forze di polizia e l’autorità giudiziaria, a creare le prove in caso di reati contro le donne o i minori.
Il sistema è molto semplice, una volta scaricato il programma, si segnala il numero dello stalker e la sua mail, e l’app inizia a funzionare. Tenendo il conto delle chiamate, l’archivio dei messaggi, delle foto e dei video, i testi delle mail. E anche registrando e memorizzando per sempre le telefonate. Non solo: è stato previsto anche un calendario in cui le vittime potranno segnare, in modo da non dimenticare, ciò che accade. E questi dati, una volta estrapolati dal cellulare, avranno esattamente lo stesso valore degli originali. E, una volta salvati, non potranno più essere cancellati. Nemmeno se il cellulare venisse distrutto.
Non è tutto: i programmatori hanno anche assicurato una sorta di interattività. Per cui la app segnalerà agli “utenti” anche una serie di alert: quando le chiamate saranno troppe o i messaggi esplicitamente minatori, sul telefono compariranno una serie di allarmi. Con tanto di reati che potrebbero essere contestati. Questa ultima funzione è possibile grazie a un programma di scansione semantica nel quale sono state inserite un migliaio tra parole e frasi che statisticamente sono più ricorrenti in casi di questo tipo. Oltre agli insulti, anche espressioni come: “ti uccido”, “ti faccio fuori”, “lo dico a tutta la scuola”, “pubblico le tue foto”. Per il momento in italiano e in inglese, ma altre lingue potranno facilmente essere inserite.
L’app, che già prima dell’estate sarà disponibile per Android, entro la fine dell’anno funzionerà anche con gli iPhone. “L’idea ci è venuta perché, dopo dieci anni di consulenza in questo campo, abbiamo pensato che fosse utile un sistema di archiviazione dei dati che permettesse di non perderli più – ha spiegato Marco Calonzi che insieme a Marco e Susanna Testi ha ideato l’app — Ci è sembrato un modo non solo per aiutare chi dovrà istruire il processo, ma anche le vittime a prendere coscienza di quello che sta accadendo”. Nelle speranze dei progettatori e delle autorità, la app aiuterà anche a scoperchiare il sommerso, ovvero circa l’80 per cento dei casi che non vengono denunciati.