"Noi che siamo passati dalla Libia": storie di giovani in viaggio

Voci, volti, lingue e alfabeti nel libro che raccoglie l'esperienza di migrazione di 50 ragazzo africani. Intervista all'autrice, Mari D'Agostino (ItaStra): "Dentro ci sono più di 10 anni della mia vita e migliaia di incontri. Oggi questi giovani sono punti di forza per la nostra società" 

"Noi che siamo passati dalla Libia": storie di giovani in viaggio

50 giovani africani raccontano parte del loro viaggio tra alfabeti, multilinguismo, sofferenze patite soprattutto in Libia e il forte desiderio di avere un futuro di vita diverso. Le loro voci sono raccolte da Mari D'Agostino, docente di linguistica italiana che, dal 2007 dirige la scuola di Lingua Italiana per stranieri (ItaStra). "I giovani protagonisti di queste pagine sono da poco arrivati in Italia attraverso la rotta centrale africana, la Libia e il mare Mediterraneo - scrive Mari D'Agostino -. Hanno percorso a piedi, in bicicletta, in bus, in pick-up le strade africane, muovendosi dentro l'universo della diversità linguistica con il piglio sicuro di chi non ne ha paura e sa usarne interamente le risorse. Il loro viaggio ha comportato la permanenza, per mesi o anni, in quell'inferno che è la Libia attuale. Anche in condizioni estreme, come quelle dei luoghi di raccolta per migranti o delle carceri, la loro facilità di acquisizione spontanea di una nuova lingua si è rivelata di grande aiuto fino a diventare un elemento chiave di una prospettiva collettiva che emerge anche qui, in analogia con indagini su altri processi migratori".

Non è la prima volta che scrive un libro, ma questo è un testo ricco di tante storie di vita...
Scrivere un libro è sempre una impresa difficile. Questo è, senza alcun dubbio, quello che mi è costato di più perché dentro ci sono più di 10 anni della mia vita e migliaia di incontri con tanti giovani. In questi anni, infatti, tante parole e lingue sconosciute sono entrate ad ItaStra insieme a giovani, uomini e donne, passati dalla Libia e approdati a Palermo. L'incontro con questi giovani dalle straordinarie risorse, può fare bene a noi tutti. Con il campione quantitativo dei questionari sono stati interpellati 550 giovani mentre quello qualitativo di interviste più approfondite ha avuto 50 ragazzi. Il mio primo grazie, va certamente  a loro che sono dentro queste pagine, e, in particolare, ai 50 ragazzi che si sono fermati a raccontarmi di viaggi, di multilinguismo, di alfabeti, di dolore e di vita. L'intero volume è attraversato dalle loro voci ascoltate in interazioni spontanee, interviste individuali o di gruppo, durante laboratori di narrazione. Le loro parole e i loro racconti, insieme ai dati quantitativi della ricerca, restituiscono un universo composito, la cui comprensione è utile non solo a chi è interessato al rapporto fra migrazioni e lingue, ma anche a docenti, volontari, professionisti e operatori dell'accoglienza che quelle voci, spesso, stentano a decifrare".

I giovani migranti sono arrivati da voi a partire dal 2012?
In questi anni sono passati da ItaStra circa 4 mila giovani. La prima fase è stata quella di aprire loro le porte accogliendoli con gli strumenti che avevamo. Si trattava di molti giovani minorenni o neo maggiorenni in gran parte analfabeti. Poi, in un secondo momento si è cercato di capire quali modelli didattici nuovi si potessero adattare maggiormente a loro. Il lavoro di ascolto si è concentrato su quello che è avvenuto prima di arrivare in Italia.

C'è il tentativo nel libro di uscire dai luoghi comuni quando si parla di migranti?
Sì, la finalità principale è quella di uscire dalla retorica e dai soliti luoghi comuni che etichettano questi giovani come 'poveri, ignoranti che non conoscono nulla e non sanno fare niente' per non parlare di chi ne ha addirittura paura perché li considera 'criminali o fuorilegge'. La narrazione di parte della loro vita è avvenuta in un clima sereno di fiducia e di rispetto reciproco. L''attenzione si è concentrata, non tanto sul loro stato di fragilità sociale ma, quasi esclusivamente, su quelli che sono i loro punti di forza e la valorizzazione delle loro capacità.

Un punto di forza notevole è stato il loro multilinguismo?
Sì, abbiamo scoperto giovani con grandissime risorse che già, a partire dai loro villaggi di provenienza, sapevano parlare diverse lingue con una grande capacità di costruire comunicazione in chiave multilinguistica. Hanno, infatti, un bagaglio di conoscenze linguistiche orali completamente diverso rispetto al nostro sistema linguistico occidentale basato principalmente sulla lingua nazionale. C'è chi addirittura conosce 8 lingue africane e, durante il viaggio che in alcuni casi è durato 2 anni, ne ha appreso 'per immersione'  altre ancora.

C'è pure una parte dedicata alle scuole coraniche.       
Per questi giovani dell'Africa sub-sahariana, le scuole coraniche sono un luogo in cui non imparano l'alfabetizzazione ma seguono un apprendimento di tipo mnemonico come quello che le nostre nonne facevano con il latino quando imparavano delle preghiere. Spesso hanno sviluppato una capacità di riprodurre in maniera veloce segni grafici in arabo. Tutto questo arabo recitato abbiamo scoperto che poi a loro è servito molto quando si sono trovati in Libia. Hanno raccontato, infatti, sia il fatto di avere appreso l'arabo dell'odio dai loro torturatori ma anche quello, in alcuni casi, di avere "esibito" l'arabo coranico per farsi aiutare da altre persone.

Questi giovani che sono passati tutti  dalla Libia si identificano quindi su un terreno comune?
Pur provenendo da paesi africani diversi, l'essere stati in Libia gli ha fatto acquisire e assumere una sorta di maschera identitaria comune fatta di un certo tipo di linguaggio che per forza maggiore hanno appreso in quel Paese. E' praticamente quello che è avvenuto dopo 40 anni a chi è stato nei campi di concentramento tedeschi quando si sono incontrati e riconosciuti a partire dal linguaggio duro del lager.

Che altri spunti offre al lettore?
Il testo è l'intreccio di tante storie che cercano di fare comprendere, diversamente dalle generalizzazioni semplicistiche  in cui spesso vengono etichettati gli immigrati, come, invece. questi, abbiano risorse significative da valorizzare anche nell'ottica della solidarietà. Sicuramente i loro punti di forza sono il multilinguismo  e la capacità di acquisire informazioni in vario modo oltre a quello di avere una fortissima capacità di adattamento nel fronteggiare tutte le diverse situazioni. I loro racconti sono scanditi, quindi, da un linguaggio ricco di parole forti che tracciano la storia quando evocano la difficoltà del deserto, la paura della morte, il pericolo di mettersi in mare  ma anche la gioia dell'arrivo in Italia e le altre esperienze di vita.

Oggi molti di loro hanno intrapreso percorsi culturali significativi.
Alcuni di loro sono riusciti a proseguire gli studi facendo la scuola superiore e a continuare pure all'università. Questi giovani, grazie al loro percorso, saranno il braccio forte che sosterrà tutti i loro compagni e compagne migranti meno fortunati di loro.
Nel libro non ci sono i racconti delle donne.
Questa è stata una scelta perché, purtroppo, essendomi trovata davanti a ragazzine giovanissime che avevano subito, per gran parte, ripetute violenze fisiche molti forti, ho preferito, nel rispetto dei drammi che hanno vissuto, tralasciarne il racconto. 

Serena Termini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)