Partecipare oggi. Avere gli altri dentro di noi

La mano alzata. Partecipare oggi. Oggi, più che mai, c’è urgente bisogno di "un’aggiunta" di partecipazione

Partecipare oggi. Avere gli altri dentro di noi

Da poco si è compiuto in tutte le scuole italiane il rinnovo degli organi collegiali. Studenti, genitori e personale scolastico sono stati chiamati a eleggere, a vari livelli, i consigli che concorreranno «a garantire sia il libero confronto fra tutte le componenti scolastiche sia il raccordo tra scuola e territorio, in un contatto significativo con le dinamiche sociali». I numeri delle presenze alle riunioni e al voto sono stati quello che sono stati. Comunque si è rivelata una buona occasione per confrontarsi, in classe, sul valore della partecipazione e dell’assunzione di una responsabilità rappresentativa.

Sono molte le tematiche emerse durante il dibattito in assemblea, ma una mano alzata mi ha particolarmente colpito: «Che senso ha dedicare tutta questa cura nel fissare delle regole sull’elezione e il funzionamento degli organismi di rappresentanza?». La domanda, che ha trovato subito notevole consenso nei ragazzi, sembra andare oltre l’ambito specifico della scuola e fare eco di un sentimento di scetticismo che troviamo presente nei discorsi privati e nei dibattiti pubblici. Il punto critico sembra riguardare, in particolare, i modi attraverso i quali si attua l’esercizio democratico. La questione sollevata è cruciale e sarebbe pericoloso sottovalutarla o eluderla, anzi chiede in risposta testimonianze forti e libere.

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Oggi, in particolare verso le nuove generazioni, gli adulti hanno il dovere di recuperare il valore della partecipazione, come espressione alta e fattiva di cittadinanza, che ci rende tutti responsabili della vita della comunità. Una partecipazione, che per agire ha l’intelligenza e il coraggio di darsi delle forme: non significa scadere nel formalismo, ma superare questa odierna tendenza allo spontaneismo, il quale oscilla pericolosamente tra il pressapochismo e lo sterile agitarsi.

Troppe volte il superamento delle forme regolate di rappresentanza e partecipazione non ha portato a maggiore libertà, quanto piuttosto a scelte arbitrarie, a forme assembleari demagogiche, al governo del più forte o arrogante.

Non è facile ribadire il valore della partecipazione oggi: serpeggia insofferenza verso gli organismi di rappresentanza, ritenuti residui del passato o perdita di tempo. O più semplicemente perché si è fatta strada nelle nostre coscienze l’idea che è bene che si decida in pochi. E poi: meno si è, meno confusione si fa.

Ma dimostrare che partecipare, secondo regole e rappresentanza, si può (si deve) è lanciare un segnale forte in un contesto civile, dove la tentazione della rinunciataria astensione lascia spazio a deleghe in bianco o all’affidarsi all’uomo della provvidenza. Creare le condizioni, incoraggiare e accompagnare le persone ad assumere un atteggiamento di responsabilità all’interno della società è oggi condizione necessaria perché parole come “democrazia”, “società civile”, “bene comune” non diventino suoni vuoti.

Nessuno vuole negare che parte della classe dirigente ha fortemente compromesso (e compromette?) la sua credibilità, ma ciò non assolve chi le ha dato in qualche modo il suo consenso, chi ha semplicemente delegato, chi non ha creato un’alternativa affidabile e persuasiva. Ossia non assolve tutti noi. Un martire della nostra democrazia, il presidente Vittorio Bachelet, diceva che il male si sconfigge solo con un’aggiunta di bene. Oggi, più che mai, c’è urgente bisogno di un’aggiunta di partecipazione e di senso di appartenenza. Quest’ultima, cantava qualcuno, significa “avere gli altri dentro di noi”.

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