Pensiero critico. Cosa intendiamo fare per favorire nei bambini e quindi successivamente nei ragazzi lo sviluppo del pensiero critico?

Soltanto l’atteggiamento critico può tornare a generare quel “perduto” senso di responsabilità di cui pure andiamo parlando spesso quando si tratta di giovani.

Pensiero critico. Cosa intendiamo fare per favorire nei bambini e quindi successivamente nei ragazzi lo sviluppo del pensiero critico?

“I giovani d’oggi non hanno pensiero critico”. Quante volte abbiamo ascoltato questa frase come mera constatazione di un dato di fatto? Quante volte, invece, la stessa espressione è stata utilizzata come assunto di partenza di un processo educativo? Quanto questa consapevolezza sociale ha inciso nelle pratiche formative che investono i nostri ragazzi?
Probabilmente non abbastanza, o non in maniera efficace, altrimenti non saremmo qui a parlarne.
L’affermazione andrebbe “trascinata” con un clic dalla fase terminale del processo educativo-formativo a quella iniziale. Trasformata, quindi, da rammarico a proponimento. Dovrebbe essere inoltre riformulata più o meno in questi termini: “Cosa intendiamo fare per favorire nei bambini e quindi successivamente nei ragazzi lo sviluppo del pensiero critico? Quali strategie vogliamo applicare per renderli sensibili alle domande interiori e per abituarli al ragionamento speculativo?”.

In realtà, attorno all’argomento fioriscono le disquisizioni pedagogiche. Esiste anche un Manifesto delle Avanguardie Educative (http://innovazione.indire.it/avanguardieeducative/il-manifesto), elaborato dall’Istituzione Nazionale per la Documentazione, l’Innovazione e la Ricerca Educativa (INDIRE), che offre molti spunti e sollecita con forza il cambiamento. Ma rispetto a questo vero e proprio rovesciamento di prospettiva ci sono moltissime resistenze. Esse fanno riferimento al modello trasmissivo dei saperi ancora molto radicato soprattutto nella scuola dell’obbligo, nonostante i nuovi fermenti.
Perché? Perché nei bambini piccoli il pensiero critico, o critical thinking per definirlo in maniera “globale”, non dev’essere soltanto allenato, ma “strutturato”, quindi l’intervento educativo diventa assai più complesso e articolato richiedendo ampie competenze agli insegnanti.

Tuttavia è un investimento che val la pena di fare. Oggi le informazioni, le nozioni e in qualche modo il sapere sono alla portata di tutti, per lo meno apparentemente. Siamo tutti, e quindi non solo i nostri ragazzi, catapultati in un grande supermercato dove veniamo bersagliati da “campagne promozionali” che, metaforicamente parlando, ci spingono ad “acquistare” determinati prodotti. Naturalmente qui per “prodotti” intendiamo opinioni, idee, convinzioni, principi che attengono anche la sfera dell’etica e della morale.
In questo surplus di offerte ciò che più necessita è proprio la capacità di discriminare quello che realmente è valido, fondato, affidabile, utile e soprattutto “vero”. Il pensiero critico in questa giungla diventa quindi un autentico strumento di sopravvivenza. Esso consiste nel saper analizzare informazioni, situazioni ed esperienze in modo oggettivo, distinguendo la realtà dalle proprie impressioni soggettive e i propri pregiudizi, significa riconoscere i fattori che influenzano pensieri e comportamenti propri ed altrui.

Oltretutto, soltanto l’atteggiamento critico può tornare a generare quel “perduto” senso di responsabilità di cui pure andiamo parlando spesso quando si tratta di giovani. Come si può essere responsabili rispetto a qualcosa che non interiorizziamo fino in fondo, che ci attraversa senza radicarsi? L’unico antidoto agli aspetti negativi e fallaci della società liquida può passare soltanto attraverso la fortificazione del pensiero.
Nel Manifesto delle Avanguardie Educative la strada che conduce all’estrinsecazione del pensiero critico è tracciata: passa attraverso una rivoluzione che investa la scuola e che sfrutti le opportunità offerte dalle ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) e dai linguaggi digitali. Esorta alla creazione di nuovi spazi per l’apprendimento più dinamici e flessibili, dove sia possibile riorganizzare il tempo del fare scuola. Chiede di operare una ri-connessione tra i saperi della scuola e quelli della società della conoscenza, colmando una distanza che è sempre più allarmante. Torna a puntare l’attenzione sul “capitale umano”, inteso come ricchezza sociale e anche economica per il futuro del nostro Paese.

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Fonte: Sir