Perché non sei rimasto in parrocchia? "Tanti bei ricordi della vita di parrocchia, ma... Un “mondo” non più attrattivo"

Tre donne, residenti a Padova, dai 49 ai 59 anni. Ancora “perché”, ma una domanda opposta: perché non sei rimasta in parrocchia? Risposte non banali e più di un paio di assonanze con il mondo “frequentante”. I nomi con cui le chiameremo, per confrontarci in libertà dietro il velo dell’anonimato, sono Sofia, Maria ed Elisabetta.

Perché non sei rimasto in parrocchia? "Tanti bei ricordi della vita di parrocchia, ma... Un “mondo” non più attrattivo"
«Perché non trovo alcuna attrattività in un parrocchia che si conforma verso il basso» 

Impegnata nel terzo settore, Sofia è cresciuta nella parrocchia e nelle proposte diocesane. In gioventù le prime dissonanze: «Percepivo un forte dislivello tra noi giovani e la gestione della vita liturgica, non solo del parroco ma di molte persone adulte con responsabilità, per cui la messa diveniva una celebrazione del loro potere e una dimostrazione, da parte di noi giovani, di saper stare al nostro posto. Quello ha creato allontanamento». L’impegno al di fuori della parrocchia, sia nell’associazionismo religioso che in quello sociale laico, hanno acuito le divergenze, rimaste nonostante i riavvicinamenti in occasione della nascita dei figli. «Da grande ho ritrovato ancora quelle dinamiche di potere in questa microsocietà. E ho avvertito anche lo scarto culturale tra chi stava fuori e chi stava dentro: se manca la capacità del parroco di valorizzare, con la sua autorità, le capacità intellettuali, il livello della parrocchia si conforma verso il basso. Non sono per nulla attratta da questo mondo e questo si riflette anche nei momenti liturgici. Però sono credente, mi riconosco nel Concilio Vaticano II, nella sua forza di umanità e di fraternità».

«Perché faccio fatica a riconoscermi in liturgie che non sento partecipate, comunitarie e libere»

Formatrice, Maria è cresciuta al Sud, respirando a pieni polmoni un cattolicesimo sociale, tra comunità di base, cultura giovanile e un forte influsso di teologia della liberazione. «Quando sono arrivata in Veneto – racconta – mi sono trovata di fronte a un cattolicesimo che non riconoscevo, ovvero una religiosità molto legata a ritualità e celebrazioni delle tappe della vita, fatta di passi ben precisi e ben codificati: il catechismo, i sacramenti, il rosario quando muore qualcuno». Maria ha cercato qui a Padova gruppi cattolici vicino alla sua sensibilità, poi, in parrocchia, il servizio di accompagnatrice dei genitori. Un servizio che la porta a fare un passo indietro: «Mi sono fatta delle domande sul senso del sacramento vissuto da tante famiglie come una tappa obbligata, senza alcuna voglia di mettersi in gioco, vissuta forzatamente». Per Maria, che sposa «il cristianesimo delle domande», contro il cristianesimo «delle risposte preconfezionate», è una stonatura che si amplifica: «Faccio sempre più fatica a riconoscermi, salvo in casi particolari, in liturgie che non sento partecipate in quanto tali, che non sento comunitarie anche se conosco le persone, che non sento libere anche se nessuno mi obbliga. Nell’adempimento liturgico sento la fatica di una comunità che risponde senza un cammino di avvicinamento e di consapevolezza». Pur riconoscendo alla Chiesa padovana spazi caritativi e di cooperazione preziosissimi, Maria sente la distanza da alcune scelte di “disimpegno culturale”.

«Un “mondo” non più attrattivo»

Elisabetta è cresciuta a Sud, ma è a Padova da trent’anni. Della sua vita in parrocchia ha solo ricordi positivi: tanti amici, un prete giovane, tanta attenzione al sociale, esperienze di animazione. «Per indole faccio fatica ad abbandonarmi alla fede – spiega – ma in quegli anni l’esegesi biblica a cui partecipavo si avvicinava al mio pensiero razionale». A Padova, però, nonostante l’avvicinamento al mondo del cattolicesimo progressista, pian piano l’entusiasmo si è raffreddato, le frequentazioni sono cambiate. Alle fatiche della fede si è unita la visione delle «contraddizioni sempre più palesi in ambito ecclesiastico, dalle piccole cose alla politica». «Mi sono domandata che senso avesse far parte di una comunità con “correnti politiche” che dicono il contrario del Vangelo». Respingenti, per
Elisabetta, anche «le dimensioni rituali», il «parlarsi addosso», la «retorica della colpa e del sacrificio». Non hanno aiutato, poi – racconta – le notizie provenienti della sua parrocchia d’origine, tanto amata in gioventù, in questi anni colpita da scandali finanziari e da un clima di tensioni irrespirabili.

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